L'Orfanotrofio Maschile di Atri e la condizione odierna

(Seconda Parte)

III.

       La vita e lo sviluppo dell'Orfanotrofio sono attualmente turbati da un ordine di fatti, che mettono capo all'indole di alcune norme dello statuto vigente, al modo, in cui tale statuto è inteso ed applicato, ai propositi, che perseguono, gli uomini che stanno a capo dell'Istituto. È necessario quindi rilevare questi fatti per desumerne la prova certa, incontrovertibile, che l'Orfanotrofio di Atri, così come è oggi ordinato, non serve ai fini ed agli scopi, per i quali esso fu creato e che perciò importa ricondurlo alla sua originaria e fondamentale destinazione.
       L'articolo 2. dello statuto del 4 maggio 893 dispone che l'Orfanotrofio maschile di Atri ha lo scopo di accogliere ed istruire gratuitamente nelle arti e nei mestieri e proporzionatamente nelle lettere i poveri nell'ordine seguente:
       1. I trovatelli del Comune;
       2. Gli orfani d'ambo i genitori nati e domiciliati nel Comune;
       3. Gli orfani di padre, id.
       4. Gli orfani di madre, id.
       5. I figli di genitori poveri, id.
       6. I trovatelli ed orfani nati altrove ma residenti nel Comune di Atri con le rispettive famiglie da 10 anni.
       Nulla di male in questa disposizione conforme peraltro a disposizioni analoghe degli statuti precedenti ed allo spirito della fondazione; senonché essa è contraddetta, è violata, è distrutta ed il vantaggio con essa concesso alle varie categorie di fanciulli designate innanzi, è ritolto dalla disposizione dell'art. 23. Con questo articolo si prescrive che i fanciulli medesimi saranno ammessi come alunni interni dell'Orfanotrofio, purché:
       1. abbiano l'età non minore di anni 10 né maggiore di 12;
       2. abbiano sana e robusta costituzione fisica;
       3. abbiano compiuti gli studi elementari obbligatori;
       4. abbiano modo di provare la loro buona condotta.
       Ora questi limiti, queste condizioni imposte all'ammissione degli alunni null'altro effetto son capaci di produrre che impedire e precludere precisamente a quei fanciulli, per il cui ricetto ed educazione l'Istituto è stato creato, il godimento dei beneficii, che questo è destinato per sua natura ad elargire. Imperocché non ci vuole una peregrina acutezza di mente, per capire che i fanciulli della prima categoria, cioè i trovatelli, vivono por lo più in campagna e non hanno modo di frequentare la scuola e perché questa manca in due terze parti del nostro contado e perché fin dai primi anni sono addetti dalle famiglie di contadini, che li accolgono, ai più umili servizi campestri che soffocano in loro ogni desiderio d'imparare e d'istruirsi. Quanto ai trovatelli, che per caso vivono in città, agli orfani d'ambo i genitori o d'uno di essi ed ai fanciulli di genitori poveri è ovvio rilevare che essi o non frequentano le scuole per difetto di cure da parte dei loro tutori o parenti o, se le frequentano, non hanno né i modi né i mezzi di compierne regolarmente i corsi; sicché, in massima parte, o non si presentano agli esami di proscioglimento, o presentandovisi, sono, novanta su cento, disapprovati. Giungono cosi all'età, in cui non sono più ammessi a frequentare le scuole pubbliche.
       Da questo stato di cose reale, non immaginario, accertato con la maggiore diligenza, deriva che i trovatelli, gli orfani ecc. non possono, nella più parte dei casi, essere accolti nell'Orfanotrofio per mancanza del certificato di proscioglimento dagli studi elementari obbligatori e che l'Istituto chiude le porte in faccia precisamente a quelle categorie di fanciulli, che ha per suo scopo essenziale e precipuo di accogliere e di educare!!!
       Questo fatto inaudito, questa violazione audace del fine fondamentale dell'Istituto nostro secolare di pubblica beneficenza sopravvissuto a tante fortunose vicende nella sua integrità e purezza, ci empie l'animo di amarezza e di stupore e ci dà materia a sconsolanti considerazioni, che qui non accade enunciare; notiamo soltanto che se l'Italia non fosse quel paese ferace d'uomini pubblici improvvisati, inscienti ed inconscienti, di legislatori e d'uomini di governo estemporanei, che è da un pezzo, la disposizione contenuta nell'articolo 23 dello statuto vigente sarebbe saltata agli occhi dell'Autorità competente locale e centrale e non sarebbe stato permesso d'includere nello statuto un complesso di condizioni e di limiti, che snatura affatto la fondazione e ne sopprime lo scopo. Non sarebbe stato permesso se si fosse posto mente che la condizione richiesta dal citato art. 23 del compimento dei corsi elementari obbligatori per essere ammesso nell'Orfanotrofio non era prescritta dall'ordinamento del 1860 né dallo statuto del 1870 né da quello del 1876, il quale stabilì soltanto che si preferisse, nell'ammissione, il fanciullo che sapesse leggere e scrivere al fanciullo analfabeta e non era prescritto appunto perché essa includeva una restrizione, che contrastava recisamente alle funzioni, che l'Istituto era destinato ad adempiere, di accogliere cioè e dar ricetto, nutrimento, educazione ed istruzione letteraria e professionale all'infanzia abbandonata. E' stata prescritta invece nello statuto del 1893, perché con questo si è voluto aristocratizzare l'Orfanotrofio, farne quasi uno stabilimento di educazione e d'istruzione borghese e non si è avvertito che imponendo agli aspiranti all'alunnato interno dell'Orfanotrofio di presentare il certificato di proscioglimento si discaricava l'Istituto d'uno dei suoi obblighi precipui, ossia dell'obbligo d'impartire agl'infelici strappati alla miseria ed alla corruzione l'istruzione e l'educazione primaria, e si rendeva possibile l'accesso e l'ammissione all'Istituto soltanto ai fanciulli di piccoli borghesi o di artigiani viventi in modesta agiatezza e sotto le ali proteggitrici del gruppo dominante.
       Di che segue che l'Orfanotrofio creato a sollievo dell'infanzia abbandonata e povera serve ora a fanciulli di una classe diversa da quella per cui è sorto!
       Ecco come si violano impunemente ed a cuor leggiero da noi la volontà del fondatore i precetti del legislatore e gl'interessi degli umili!
       Il medesimo articolo 23, ripetendo una disposizione contenuta nell'art. 48 dello statuto del 1876, impone che l'alunno possa essere ammesso se abbia sana e robusta costituzione fisica e buona condotta.
       Ora o noi c'inganniamo, o quest'altra condizione, interpretata secondo il senso letterale delle parole, sancisce un privilegio odioso ed inumano, che mal si concilia con lo spirito di carità e di pietà che alimenta gl'istituti di beneficenza.
       Esigere che l'alunno aspirante all'ammissione abbia sana e robusta costituzione fisica importa escludere quasi tutti i fanciulli che non hanno da natura il privilegio detta forza, cioè a dire tutti i fanciulli di genitori poveri, perché, è inutile negarlo, la scarsa alimentazione, le abitazioni malsane, la povertà degli abiti la nessuna pulizia del corpo conferiscono a formare il fanciullo di costituzione gracile e di mente torbida. Ecco adunque anche per questa via sfigurata l'indole dell'Istituto e questo fatto servire non a prò dei poveri e dei deboli, ma dei ben nutriti, dei ben pasciuti, ossia dei meno diseredati dalla fortuna! Ora qual cuore gentile non sente l'orrore di una ingiustizia come questa?
       Assai più equa, assai più d'accordo con lo scopo della fondazione e con i principii della morale sociale era la disposizione vigente avanti alla riforma del 1876, la quale non prescriveva che i fanciulli da ammettersi nell'Istituto fossero di sana e robusta costituzione fisica, ma che fossero scevri di morbi contagiosi.
       Notiamo infine, a proposito dell'art. 23 che l'esigere l'attestato di buona condotta da fanciulli di 10 o 12 anni è un assurdo logico e giuridico e perché in quella età la condotta morale è non già formata ma in via di formazione e perché una sana, una retta condotta morale è appunto l'Istituto che ha il compito di formarla in quelle categorie di fanciulli che deve accogliere nel suo seno.
       L'Orfanotrofio di Atri adunque che, secondo lo spirito dei tempi, dovrebbe a mano a mano rispandere i suoi beneficii su di un numero sempre maggiore di fanciulli abbandonati e poveri, è stato in questi ultimi anni costretto ad un movimento regressivo, a concentrare su di un numero sempre più esiguo di fanciulli le sue cure, a dispregio della sua originaria ed essenziale funzione, dei diritti inviolabili ed imprescrittibili della collettività. Meglio, meglio avere il coraggio di rievocare a voce alta, non sommessamente, l'antico regime addirittura!
       Con lo statuto del 1893 si è compiuta inoltre una spoliazione dei diritti della Comunità, che dubitiamo forte non sia stata rilevata dal Consiglio municipale.
       Fino al 1893 la nomina e il licenziamento del Direttore e degl'insegnanti dell'Orfanotrofio era diritto riservato al Consiglio Comunale; era commesso al Consiglio di amministrazione la nomina e il licenziamento degli altri impiegati. Ciò è conforme non pure al nostro diritto pubblico vigente, ma alla condizione giuridica dell'Orfanotrofio, che è Istituto essenzialmente comunale, amministrato dal Comune per mezzo di delegati eletti dall'assemblea dei suoi rappresentanti e soggetto ognora all'alta sua direzione e sorveglianza.
       Con lo statuto del 1893 invece si sono concessi al Consiglio dì amministrazione dell'Orfanotrofio diritti e facoltà, che eccedono i limiti delle sue naturali e tradizionali attribuzioni, inquantoché non pure gli si è concesso di provvedere all'amministrazione dei beni dell'Orfanotrofio, alla nomina e revoca degl'impiegati subalterni, ma anche alla nomina e licenziamento del Direttore e degl'insegnanti udito il parere del Direttore (art. 30).
       Quanto male sia capace di produrre questa arbitraria ed antigiuridica innovazione è agevole considerare se si rifletta che la nomina o il licenziamento del Direttore e degl'insegnanti deliberato da un Consiglio municipale, secondo determinate forme e sotto una efficace tutela giuridica, offre migliori guarentigie di serietà, di ponderazione, d'imparzialità in confronto di una nomina o licenziamento deliberato senza controllo da 3 o 5 persone, che possono ingannarsi talora in buona fede, talora essere ingannati. In effetti la facoltà strappata ai rappresentanti del Comune e concessa agli Amministratori dell'Orfanotrofio è stata esercitata in questi ultimi tempi in guisa, che, in cinque anni, sono apparsi e scomparsi ai nostri occhi tre insegnanti di disegno e d'ornato, tre o quattro insegnanti d'intaglio in legno, quattro o cinque maestri elementari superiori, due insegnanti di plastica ecc. con pregiudizio incalcolabile dello sviluppo della scuola e del profitto degli alunni.
       Né queste soltanto sono le incongruenze dello statuto del 1893; il Direttore, che, secondo l'art. 31, dovrebbe essere il Capo Supremo (sic!) dell'Istituto sotto il duplice aspetto dell'istruzione e della disciplina, è chiamato anche ad ingerirsi in materia di conti, di bilanci, di contratti, giusta gli articoli 9, 32, 36, ossia in affari di amministrazione.
       Ora questa confusione di competenze e di attribuzioni non giova di certo alla speditezza degli affari, dà al Direttore un posto preponderante, segnatamente se la Commissione amministrativa è suggestionabile o debole, e crea un organo nuovo di amministrazione contrariamente alla volontà del fondatore ed all'ordinamento organico dell'istituzione.
       I mali adunque che a nostro avviso derivano all'Orfanotrofio di Atri dallo statuto vigente, sono quelli che fan capo alle norme che siam venuti brevemente esaminando; occorre però che siano senza indugio riformate, affinché l'Istituto possa adempiere il suo scopo conformemente alle sue origini ed alle sue tradizioni.

IV.

       Abbiamo detto che un altro ordine di mali deriva all'Orfanotrofio di Atri dal modo in cui lo statuto organico, che lo regge, è inteso ed applicato e non ci è difficile dare la dimostrazione precisa della nostra asserzione.
       L'Istituto di beneficenza, onde ci occupiamo, e per le sue origini e per gl'intendimenti di chi lo creò e per gli ordinamenti suoi tradizionali e fondamentali ha, come dicemmo, due scopi:
       1. accogliere, nutrire ed educare l'infanzia abbandonata;
       2. istruirla nelle arti manifatturiere e proporzionalmente anche nelle lettere.
       Il primo di questi scopi è il principale ed originario e perpetuo, in quanto da esso l'Istituto deriva la sua essenza e il nome; il secondo è subordinato, contingente, mutevole, coordinato al primo quale mezzo a fine, in quanto esso serve, come strumento, al compimento del fine sostanziale della fondazione.
       Gli è perciò che attraverso le successive e varie riforme statutarie dell'Istituto è rimasto ognora immutabile lo scopo primo; vario e mutevole invece è stato lo strumento, onde si è provveduto all'istruzione degli alunni, ossia la scuola annessa all'Istituto.
       Ad una scuola primaria e d'arti manovali successe un istituto agrario; a questo una scuola-podere mutata poi nell'attuale scuola d'insegnamento elementare superiore e di arti e mestieri teorico-pratica.
       Ciò importa che le maggiori cure dovrebbero volgersi all'Orfanotrofio, in quanto casa di ricovero e di incivilimento dei fanciulli poveri, sia promuovendone lo sviluppo e la prosperità mediante l'aiuto e l'opera di chi ha tratto dagli studi e dalla esperienza i criteri di una sana, civile e vigorosa educazione moderna, sia rendendolo benefico ed utile per il maggior numero. Ma ciò non accade, anzi accade il caso contrario.
       L'Orfanotrofio vero e proprio è stato ed è subordinato e sacrificato alle esigenze della così detta scuola d'arti e mestieri ed ai criteri che di tal genere di scuola si son formati coloro, i quali ne sono a capo. Ed il sacrificio e la subordinazione dell'Istituto fondamentale all'odierna scuola d'arti e mestieri si compie in due modi e coll'impiegare due terze parti quasi della cospicua annua rendita media di L. 27000 per la scuola ed un terzo o meno ancora per l'Istituto di beneficenza, cui è annessa e con il limitare ad un numero irrisorio l'ammissione degli alunni.
       In fatti dal bilancio degli anni 1898-99, che la cortesia della R. Prefettura ci ha consentito di leggere emerge che l'entrata totale monta a Lire 38371,04, di cui Lire 11976,40 per residuo di cassa.
       Il bilancio annuo medio monta quindi a L. 27394,64, delle quali, detratta la somma di L. 2153 destinata per le imposte, sono impiegate: L. 4800 per vitto, L. 600 per riscaldamento; Lire 2000 per abiti e biancheria; L. 600 per mobili, lavanderia ecc. In tutto L. 8000 servono all'Orfanotrofio vero e proprio e le residue Lire 17241,64 alimentano la scuola d'arti e mestieri, Ciò a noi pare di una gravità enorme; ciò ha per effetto che un Istituto il quale potrebbe accogliere di solito da 60 ad 80 fanciulli poveri ne accoglie appena 22! oltre i cinque, che vi sono a spese della Provincia e gli altri pochi a pagamento; sicché ogni fanciullo povero del Comune accolto nell'Orfanotrofio costa in media L. mille e cento annue!
       Oh, di certo non era nei voti dei fondatori dell'istituto che del patrimonio dei poveri si facesse tal uso!
       La scuola d'arti e mestieri è diventata quindi una istituzione quasi indipendente e preponderante rispetto agl'interessi economici e morali dell'Orfanotrofio; le si concede tutto ciò, che sovente piace e al capriccio di chiedere per essa; la s'ingrassa a spese e danno degl'interessi e dei diritti della classe povera. Conferiscono alla formazione di questo stato di cose l'ordinamento appariscente che ha la scuola d'Arti e Mestieri, la flora parassitaria che germoglia attorno all'Orfanotrofio e ne succhia le midolle; le spese profuse senza misura, senza un concetto organico di ciò che si vuole ed a dispregio dell'art. 39 della Legge 17 luglio 1890 sugl'Istituti di Beneficenza, l'elargizione di stipendi o lauti o improvvidi.
       Lauti o improvvidi stipendi diciamo non in senso assoluto, ma in rapporto all'indole dell'Istituto, che ne sopporta il carico. Si è vero, senza buoni stipendi, non si hanno buoni insegnanti ed impiegati; ma, nel caso concreto, sono i poveri che devono pagarli e con i poveri bisogna innanzi tutto aver cuore e temperanza di pretese.
       Né ci si dica che, con più modesti stipendi noi non potremmo mai cavarci il gusto di avere a capo dell'Istituto e della scuola, dei Geni, di farci dirozzare dalle loro morbidissime mani e di bevere nella coppa, che essi sanno apprestarci, il nettare della civiltà, imperocché la scuola, che deve educare ed istruire nelle arti e nei mestieri i poveri fanciulli raccolti nell'Orfanotrofio, deve essere innanzi tutto scuola di modestia e di virtù operosa; deve imprimere ad essi l'abito della probità e del lavoro, la dignità del cittadino; deve temprarli ed addestrarli alle lotte della vita ed una scuola di tale specie non è fatta per i Geni; essa è troppo poca cosa per gli ardimenti della loro immaginazione e del loro intelletto.
       In Italia non mancano esempi di floride scuole professionali d'Arti e Mestieri, che, non ostante la modestia del loro bilancio, hanno dato e danno copiosissimi frutti.
       La cortesia squisita del cav. Cesare Palopoli Capo sezione nel ministero dell'Industria e Commercio ci additava testé ad esempio l'Istituto d'Arti o Mestieri di Aversa e la Scuola Professionale di Mondovì e ce ne offriva gli statuti ed i regolamenti, che abbiamo qui, sotto gli occhi. Leggendoli si rileva che quelle Scuole, con più scarsi mezzi della nostra provvedono ad una più completa e più varia istruzione tecnica e professionale degli alunni. È necessario adunque ridare all'Orfanotrofio ciò che gli appartiene e che l'odierna Scuola d'Arti e Mestieri gli toglie; è necessario sfrondare il superfluo, contenere la Scuola nei confini, entro i quali vuole che sia lo Statuto vigente rettamente inteso; aver di mira sempre che non l'Orfanotrofio deve servire alla Scuola, ma la scuola all'Orfanotrofio, è quando ciò si sia avverato l'istituto riapparirà a tutti quelli che l'amano e ne sanno il valor sociale, nelle sue naturali e veraci forme.

       Avv. G. Quintilii



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