I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato dalle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1916


Shakleton

           
           Da gli assedianti ghiacci
           salvo la nave e salvo l'uom ritorna.
           Lontanando con gli occhi e con il core -
           ove l'acqua ed il cielo
           in un connubio baciansi
           purissimo d'azzurro,
           piena la mente d'infinito, pensa
           l'eroe a prua,
           pensa la bianca eternità di pace
           ov'è bello il periglio e la conquista
           è vera gloria.
           
           Placido il mar si stende - avanti, avanti! -
           il mare abbandonato.
           Pari è l'eroe ad un antico Iddio
           che torni altero da una grande impresa
           contro fatati forze...
           
           Oh, tutte a lui s'inchineran le genti,
           un'ara lui che vinse e non uccise
           ne la sua terra avrà!
           Guarda da prua lungi, pensa, non sa.,.
           Non una nave l'acque
           solca, ed al sol non una vela avvampa.
           Perché? È morto il mondo?
           Ah, come queto e come bello è il mare
           di diaspro e il gran silenzio...
           Guarda da prua, pensa l'eroe, non sa.
           
           Un punto nero là,
           lontan, fin là dove lo sguardo arriva
           Terra! Piena la nave
           e pieno il mar del grido: “Terra, terra!”
           Vola la nave e fende, e spezza l'onde.
           Ma grave è l'aria come non fu mai,
           ma par che a torno odor di cimitero,
           pesante un lezzo di malchiuse tombe,
           serri la nave e l'uomo.
           Perché, perché? Teme l'eroe, non sa.
           È morto, è morto il mondo?
           Oh, come puro e come bello il polo
           infido è il gran silenzio!
           
           Vola la nave sola
           porta un augurio nel suo motto “Aurora”.
           
           Una carcassa sfasciasi là giù,
           la tua Europa, Shakleton!
           Te benedetto che de l'ira nostra
           inconscio torni dal gran regno casto
           de l'eterne nevi,
           te benedetto che non sai la guerra
           de l'impazzite genti,
           non sai il pianto e il sangue che l'Europa,
           versa, ed i morti a mille, a mille, a mille!
           
           O benedetto, con la tua Vittoria,
           vieni. Sfuggi a la morte
           che nel tranquillo mar l'insidie tende,
           e vinci e vinci ancora!...
           
           Voli la nave tua
           porti un augurio nel suo motto “Aurora”!

           
           Cesare Zavoli
           
           L'ottimo amico e collaboratore Tenente Cichetti Bartolo ci invia i versi dello Zavoli con la seguente lettera:
           Caro Direttore,
           Vi scrivo dalla Zona di guerra, dove mi trovo da qualche tempo, per mandarvi dei buoni versi di un giovane poeta romagnolo il Sottotenente Cesare Zavoli, il quale, come vedrete, è tanto valoroso con la penna quanto lo è col braccio.
           Egli fra lo scoppio delle granate, nelle disagiate trincee del Carso, di Col di Lana e della ridotta Garibaldi, o fra le aride zone di Doberdò o fra i candori delle nevi dell'Adamello, bacia la fronte della Musa penosa.
           È una primizia che vi mando: sono versi che il carissimo compagno d'armi dà a me per il Corriere.
           Saluti affettuosi e credetemi con sincero affetto vostro amico
           CICHETTI BARTOLI, Tenente