I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato dalle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1918


In memoria di Clemente De Fermo

           
           Caduto per la Patria
           Dopo oltre quattro mesi di angosciosa attesa, sempre sperando che una lieta novella disperdesse il loro presentimento, i genitori Nicola ed Anna De Fermo con i figli Carlo, tenente al fronte, e Cesare, a nome dei parenti tutti partecipano la morte del loro
           CLEMENTINO DE FERMO
           SOTTOTENENTE MITRAGLIERE
           Studente nel III anno d'Università
           avvenuta sul Piave il 18 giugno, combattendo eroicamente per la grandezza e l'avvenire della Patria.
           Loreto Aprutino 18 Novembre 1918
           Non si inviano partecipazioni personali.
           
           DOLORE
           La casa solitaria visse l'ansia della speranza, l'angoscia dell'attesa, il tormento del dolore per quattro mesi, che furono un'eternità di rimembranze, di timori, di spasimi. La madre cercava invano il figliuolo lontano; domandava invano agli uomini ed alle cose dove fosse fuggita l'ala più cara e più viva del suo cuore! Pari a Demetra antica, errante in cerca della rapita Persefone, ella, la dolente, invocava il caro nome, il suo Clemente, ma il silenzio degli uomini e delle cose rendeva più grande il materno cordoglio.
           Al grido materno rispondeva il gemito che saliva dal petto martoriato di un padre, nella cui anima una notte di dolore stendeva il più lugubre velo, come in un cielo senza stelle. E dopo quattro mesi, al pianto d'Amore per il figlio sospirato seguì lo strazio ferale per la sorte dell'eroe giovinetto. Tale l'odissea spirituale di due anime nobilissime, di due cuori delicatissimi che piansero le lagrime più amare, soffersero il martirio più doloroso per il dolce figliuolo invano atteso, invano invocato coi nomi più teneri, che l'affetto inspira.
           E chi dimenticherà tanto dolore?
           E chi mai potrà obliare l'immagine delicata e pura dell'adolescente assunto, dalla morte per la Patria, alla luce dell'Immortalità?
           Caddero, con quella vita, le speranze, sogni, illusioni, come fiori falciati dalla bufera. Si spense una giovinezza piena di promesse, come radiosa aurora fra una densa e nera nuvolaglia in una improvvisa tempesta mattutina. Tacque un sorriso di verginale bellezza, come corda spezzata di lira armoniosa. Ma non cadde, non si spense, non tacque il dolore paterno e materno, dolore che non si consola, affanno che non si placa, sospiro che non si affievolisce!
           Bello è vedere i lauri che gli umani intessono agli eroi della Patria, l'adolescente che la Patria onora della solenne apoteosi della storia; ma nessuna bellezza di gloria può fermare il palpito doloroso dei cuori, che in un palpito di Amore crearono un Amore di figlio.
           Al dolore di Nicola de Fermo e della nobile sua consorte noi che sappiamo e ne ammiriamo le virtù, come imparammo a conoscere ed apprezzare le virtù del loro desideratissimo Clemente, ci inchiniamo commossi e reverenti, mentre esprimiamo tutta la nostra ammirazione all'eroismo del caro giovanetto, che tutto sè stesso diede alla più grande Italia, nella età delle rosee illusioni, delle liete promesse, delle soavi speranze.
           Egli è morto, ma per lui vive immortale la poesia della Patria; perché muore la virtù dell'eroe, come canta il mite e dolente poeta della solatia Romagna
; ma non muore il canto che tra il tintinno - della pèctide apre il candor dell'ale!
           
           I giorni temibili di Casa De Fermo
           Da quasi un mese Casa De Fermo, nello scorso luglio, era in viva, angosciosa trepidazione, perché dal fronte non giungevano notizie di uno dei due ufficiali che aveva in prima linea, Clemente il più giovane dei fratelli, una dolce figura di giovinetto pensoso!
           Sul Corriere Abruzzese del 7 luglio, dolenti anche noi, e moltissimo, pel silenzio del valoroso ufficiale, scrivemmo il seguente articolo:
           
           Il sindaco di Loreto Aprutino, cav. Nicola avv. De Fermo, e la sua gentile signora, Annina Ferrara, sono in viva dolorosa trepidazione, poiché da quasi un mese non ricevono più notizie di Clemente, studente di 3. anno di medicina, uno dei due dilettissimi figli al fronte!
           Giovinetto bello - quasi una fanciulla rivelante dagli occhi ceruli la profonda bontà dell'animo - egli dai primi del novembre 1916 è in zona di guerra, col grado di sottotenente, in un reggimento di fanteria che abbiamo visto spesse volte citato dal Comando Supremo a titolo di specialissima lode.
           Ha preso quindi parte, con la sua compagnia, a molti ed importanti combattimenti, tra i quali quelli ultimi svoltisi tanto accanitamente sul Piave.
           Che sia degente per ferite in qualche ospedale?... Che sia prigioniero in mano al nemico?... O che disguidi postali ritardino la consegna della corrispondenza?... Certo presso l'Ufficio Notizie, fino al momento della pubblicazione del giornale, non vi sono nuove riguardanti il nostro giovane e caro amico Clemente De Fermo. Formuliamo, perciò, i voti più fervidi! Dice il vecchio proverbio latino
: nulla nova, bona nova. E che la buona novella venga prestissimo a ridare calma allo spirito affranto della trepidante mamma, a riassicurare l'amoroso genitore, i parenti tutti e la cittadinanza intera di Loreto Aprutino, che vede con gratitudine e commossa ammirazione come il suo sindaco, malgrado la sanguinante ferita dell'animo, attende alla cura dei pubblici interessi, con quello zelo e quell'amore che sempre mai vi ha portato.
           
           Ma passavano i giorni, le settimane, i mesi e di Clemente nessuna notizia: silenzio angoscioso, desolante!
           Si possono descrivere tante ore di dolore, tante lagrime amare, tanti giorni di affanno, tante notti di strazianti sospiri?...
           Col trascorrere del tempo e col crescere delle fosche previsioni e dei dubbii crudeli, cresceva nell'animo dei desolati genitori la sete ardente di sapere che mai si fosse del loro figlio caro e e l'Ufficio-Notizie, la Croce Rossa Italiana e quella Americana, la segreteria Pontificia, tutte, insomma, le istituzioni create per appagare, durante la guerra, l'ardore di anime dolenti, furono dai coniugi De Fermo più volte richieste di dare notizie!
           E notizie vennero da tutte le fonti, uguali, concordi: - Il 18 giugno, combattendo presso Zenson, il sottotenente Clemente De Fermo era caduto ferito. Raccolto da un'automobile della C. R. Americana, era stato mandato in un ospedale dell'interno. -
           E non si seppe altro.
           Allora incominciò una ricerca più pressante, non verso gli organi ufficiali di informazioni, ma verso i soldati e i comandanti che avevano potuto conoscere Clemente de Fermo ed essergli stato da vicino nel giorno in cui cadde ferito. Così si riusci a sapere che egli combatté eroicamente nei giorni 14, 15, 16, 17, 18 giugno nell'epiche battaglie tra Zenson e Fossalto, nel basso Piave. Dopo un continuo ondeggiamento di conquista e di riconquista, il battaglione, in cui era il nostro ufficiale, rimase scoperto.
           I nemici tiravano su di esso con mitragliatrici, bene mascherate, a brevissima distanza. L'ufficiale Clemente De Fermo, puntando col moschetto, cercava di mettere fuori combattimento i mitraglieri nemici, non curante del pericolo a cui si esponeva, scoprendosi troppo. In un brutto momento una pallottola esplosiva lo colpi all'avambraccio, gravemente.
           Fu trasportato su barella al luogo detto «Fornaci di Monasterio», dove ebbe un'affrettata medicazione, e di lì, caricato sopra ambulanza della Croce Rossa Americana, fu avviato nell'interno. Fatalità volle che, durante il tragitto, la macchina riportasse un guasto. Essa era guidata da una miss, che, incapace di riparare il danno, non potè far di meglio che attendere il passaggio di altra ambulanza vuota. Dopo quattro lunghe ore si vide giungere la sospirata ambulanza, e così i poveri feriti furono scaricati e ricaricati tra gravi loro spasimi. Il De Fermo, pel sangue perduto durante l'attesa, era morente, e si spense mentre si andava verso il primo ospedale.
           Non essendo stato possibile identificarlo, poiché nella prima medicazione era stato spogliato della giubba, venne sepolto come sconosciuto nel cimitero di Roncade, presso Treviso, ove dorme l'ultimo sonno a lato di compagni di sventura, ignoto fra ignoti!
           Non aveva che vent'anni compiuti! Nato nell'ottobre 1897 era morto il 18 giugno 1918. Apparteneva al 70. Regg. Fanteria, prima compagnia mitraglieri, e come si era distinto negli studii, così s'era distinto nella milizia.
           La sua vita fu troppo breve, ma non tanto da non dare dei bagliori di vivido ingegno. Egli fu uno di quei figli nei quali i genitori sentono per una percezione particolare che tutte le loro speranze, anche le più ardite, domani saranno una realtà, e, nella linea del divenire, presentono che il decoro della famiglia farà un passo avanti!
           Chi ha avuto la fortuna di essere amico a Clemente De Fermo e di averlo in dimestichezza può ricordare l'agilità e la versatilità dell'ingegno, tutto latino. Versatissimo nelle matematiche, tanto è vero che il suo riposo intellettuale lo trovava solo nei libri di questa disciplina, per lui prendere la penna per risolvere una equazione o scrivere un sonetto o tracciare con matita una caricatura, era la stessa cosa.
           All'ingegno sodo e versatile unì sempre grande bontà d'animo, e, caratteristica delle persone veramente d'ingegno, modestia grandissima.
           La guerra lo trovò giovinetto: in poco tempo ne fece un uomo, dandogli dell'uomo la chiara visione e la ponderatezza del giudizio.
           Sentì profondamente le imperiose necessità storiche di questa guerra, capì profondamente quale era il dovere della Gioventù e combatté sempre da eroe.
           Le prime notizie del disastro di Caporetto lo trovarono in regolare licenza; senza aspettarne la fine volle ripartire a compiere tutto il suo dovere.
           E, raggiunto il nostro esercito la linea del Piave, scriveva:
           «Dalle spumose, rumoreggianti onde del Piave in piena, ove matureranno i supremi destini dell'Italia nostra, nella preparazione intensa della battaglia futura, ove i veri soldati della Patria laveranno con il loro sangue l'onta del tradimento compiuto, dalle cupe acque fatidiche sperdentisi lontano lontano in una striscia rosseggiante, voli il mio pensiero per i piani, per i fiumi, per i monti, voli il mio saluto, forse l'ultimo, agli amici lontani; l'aura veloce ve lo porti, ve lo dica il sole che nascerà domani, che io vedrò, che voi vedrete, il sole eterni vi narri!»
           Povero amico! sul Piave fatidico immolasti la giovane ed eroica esistenza, il tuo sangue puro, ma non vedesti il sole della vittoria.
           La nuova dell'onta di Caporetto, lavato con altro sangue non meno generoso del tuo, consoli il tuo puro spirito; il Dio delle battaglie, accogliendoti nel suo seno, ti dia il premio, a cui hanno solo diritto gli eroi che sanno coraggiosamente vivere e morire nel silenzio della loro fortezza d'animo!
           La morte di Clemente de Fermo ha prodotto un grave lutto nella cittadinanza loretese, che molto amava il simpatico e caro giovane, e le condoglianze verso la famiglia sono state generali.
           In una delle scorse domeniche, nella chiesa matrice di S. Pietro, furono fatte le esequie, a cui presero parte tutte le autorità, le scuole maschili e femminili, un plotone di soldati della guardia dei prigionieri - operai, e un numero immenso di cittadini.
           L'Abate Luigi Di Vestea disse l'elogio funebre dell'eroe, con nobiltà di sentimento d'italianità e con parola vibrante di intenso affetto. Se lo spazio non facesse difetto, ben vorremmo, in omaggio alla memoria del caro Estinto, riprodurre il discorso che fece rivivere nitida e pura la figura di Clemente De Fermo!
           
           ...Sotto una zolla e una corona tu dormi, e il tuo corpo straziato non può fremere oggi per la vittoria nostra.
           Più che la pallottola austriaca, l'avverso destino ti colse, o Clemente De Fermo!
           Sei caduto come sei vissuto. Da italiano.
           E solo una malinconia quieta, una nostalgia accorata deve prenderti oggi, nella prigione nera coperta da un manto di foglie avvizzite, da una profusione di oro e di Verde: la pena di sentirti solo, lontano dalla tua mamma; solo col tuo cuore provato a tante lotte, col tuo povero cuore ingenuo, che accoglieva ogni bontà ed era entusiasta d'ogni bellezza, quel cuore che, per atroce sanguinosa ironia del destino, non ha potuto battere gloriosamente del ritmo maestoso della vittoria!