La morte di Antonio Dionisi
(27 settembre 1931)

     I funerali del celebre clinico e fisiologo teramano, deceduto a Salice, si sono svolti a Roma, nella Basilica di S. Maria degli Angeli. E' stato sepolto nel Cimitero del Verano. Tra i vari articoli Il Solco traccia un profilo biografico del medico abruzzese:

    Un'altra luce d'Abruzzo si è spenta: Antonio Dionisi.
     Egli aveva, infatti, diffusi gli orizzonti dell'ingegno abruzzese con il suo nome, legato ai fastigi della Scienza.
     Laureato in medicina e chirurgia nella R. Università di Roma nel 1890, è già nel 1891 assistente di Patologia generale nel R. Istituto di studi superiori a Firenze, e poi anche assistente nel 1892 a Roma, dove nel 1902 viene chiamato, in qualità di aiuto, alla Cattedra di Anatomia Patologica, essendo stato nominato nel 1901 Libero docente per titoli di detta materia. Da Roma va a Modena Professore straordinario nel 1904, e di là, nel 1910, passa docente ordinario a Palermo e, infine, torna a Roma nel 1922, al posto tenuto in gran fama dal Marchiafava.
     Vince nel 1891 il premio Girolami e nel 1893 quello della Accademia dei Lincei.
     Volontario di guerra, è insignito della medaglia d'argento al valore militare.
     Innumerevoli sono le pubblicazioni scientifiche del prof. Dionisi, e tutte ammirate dai cultori di medicina e dai dotti d'Italia e delle nazioni estere. Antonio Dionisi nel 1929 è nominato Accademico d'Italia fra i primi eminenti cittadini che hanno illustrata la Patria con alte opere dell'ingegno. Si narrò, all'indomani della costituzione dell'Accademia, che qualche invidioso, giacché i cattivi si trovano anche fra gli scienziati, abbia tentato allora di mettere in cattivo aspetto il Dionisi per prenderne il posto, e che, non potendo sollevar dubbi sulla sua dottrina, si sia permessa l'audacia di insinuare sospetti sulla fede patriottica e politica del vecchio decorato di guerra. Il Duce disdegnò, naturalmente, di dare credito al maligno intrigo e contro di esso si levò, altissima testimonianza, alla vigilia del Decreto Reale con cui vennero nominati gli Accademici d'Italia, anche la voce serena e riconoscente di un Condottiero: quella del Duca d'Aosta. Vale, forse, questo episodio più dello stesso decreto di nomina.

     * * *

     Dopo assunto agli onori dell'Accademia, Antonio Dionisi, desiderato, chiamato, sollecitato, tornò in Abruzzo, e prima a Pescara. A chi gli chiese perchè mai non fosse prima venuto in questa sua terra teramana rispose d'essere andato laggiù come «medico invitato da medici» , e corse poi a Teramo, e dichiarò che, in veste d'amico più che d'Accademico, sarebbe presto tornato qui a dire la sua parola di fede. E allorché, dopo una visita al Prefetto, volle appartarsi una mattina in luogo solitario, nella Biblioteca "Melchiorre Delfico", per trovar libri con ricordi scientifici di un illustre medico d'Abruzzo, il Flajani, — pregato d'esaminare il programma di onoranze che si sottoponeva alla sua approvazione, egli chiese a sua volta: "io che vi dirò? un saluto e un ringraziamento sono povera cosa in cambio dell'affetto de' miei concittadini!" E soggiunse che avrebbe desiderato d'illustrare, appunto, l'opera scientifica, dai più ignorata, del Medico Giuseppe Flajani, vissuto nei secoli passati, scopritore di una malattia, che fu chiamata "morbo Flajani". Ma non giunse in tempo, nè mai più potrà sciogliere ora — povero grande Maestro! — questo suo voto.
     Più tardi scriveva: "Mi raccomando: riduciamo le onoranze. Una delle mete dev'essere la gita a Collurania in omaggio all'astronomo Vincenzo Cerulli; e pure la cerimonia al Liceo, in memoria di mio zio, sarà assai cara al mio cuore".
     Venne, come aveva promesso, da tutti atteso, da tutti acclamato, e ai vecchi amici, ai figli di ognuno degli amici di un tempo lontano, ai giovani, egli volle donare espressioni di amore e di conforto.
     Il primo esponente, a Teramo, della giovinezza, che fiorisce e cammina verso l'avvenire immancabile della Regione, il Segretario Federale, nel felice saluto che rivolse al vecchio Combattente, disse, fra il fragore degli applausi, queste nobili parole, vibranti di fede: "Voi stamane avete ricordato i maggiori uomini della Provincia di Teramo, che, da giovane, imparaste a stimare. Ebbene, noi che intendiamo di onorare il Bene e il Sapere vogliamo ispirarci all'esempio di coloro che spesero le loro energie per condurre avanti, verso le vie della rinascenza, la regione nativa".
     Quel ricordo della lieta giovinezza e quella promessa di ispirazione all'esempio dei maggiori, nell'esercizio del bene e nell'amore del sapere, fecero fremere d'emozione e di gioia Antonio Dionisi, che si alzò a rispondere con accento commosso, elevando un inno di devozione alla terra madre d'Abruzzo.
     Ma nessun altro pensiero e nessun altro omaggio ci sembrano più degni di ricordo del giuramento che l'Accademico ripetè nel Teatro Comunale di Teramo il 19 giugno 1930:
     "Giuro di servire nell'Accademia, alla quale appartengo, l'Italia con tutte le tradizioni del suo passato, le certezze del suo presente e le anticipazioni del suo avvenire.
     L'amerò perciò come si ama l'Italia, quell'Italia più grande, nata dopo la guerra nell'ebbrezza della vittoria valorizzata.
     Giuro che non tralascerò sacrifizio alcuno per contribuire al movimento intellettuale, secondo il genio e la tradizione della nostra gente, della quale vogliamo il primato nelle arti e nelle scienze".
     E invocò, poscia, numi propiziatori di quel giuramento, i sapienti teramani che servirono l'Italia nel diritto e nella scienza: Melchiorre Delfico, Giuseppe Flajani, Raffaele Castorani, Roberto Campana, Vincenzo Cerulli.
     Evocheremo noi, ora, la vostra grande ombra, Antonio Dionisi, nelle ore solenni, quando, cittadini ansiosi di civili insegnamenti e di grandi esempi, avremo bisogno di ritemprare il cuore e l'intelletto attraverso il ricordo dei buoni e dei saggi. (a. s.)



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