Albo della gloria

Latini Tommaso

1 giugno 1942

Albo

      Colonnello Tommaso Latini

      Era destino che Egli morisse così, combattendo fra i suoi granatieri; era destino che la sua vita si concludesse con la suprema dedizione alla Patria, che i suoi occhi si chiudessero con la visione del nemico spregevole in fuga, che le sue ultime parole fossero di esaltazione per i suoi soldati, nel cui cuore aveva trasfuso il suo ardore e la sua passione. Ha desiderato, ha voluto morire cosi.
      Avvolta nel Tricolore, scortata dai suoi Granatieri, la salma gloriosa del colonnello Tommaso Latini è tornata alla sua Roseto; e tutto il popolo, fieramente commosso, l'ha accompagnata verso il piccolo cimitero, per l'eterno riposo fra i suoi Cari.
      Furono sempre vivi, nel suo grande cuore, l'amore per lo sua Terra, e una sottile nostalgia per la sua casa diletta.
      Appena poteva, si rifugiava qui; ed erano giorni di incantamento e di ricordi. La sua fanciullezza, i suoi sogni lontani, i suoi patimenti che furono grandi e le gioie che furono alte e superbe rivivevano nel suo animo in quei giorni di sosta, e una luce di allegrezza illuminava i suoi occhi pensosi.
      Adorava il mare: idolatrava la Mamma, alta bella diritta pur negli ultimi anni di sua vita; amava confondersi con l'umile gente, per sentir vibrare l'anima pura di essa, per poter essere generoso di aiuti, per poter dare un conforto ai cuori affranti.
      Era l'animo suo magnificamente ricco di ogni virtù, e tutte le doti si componevano armonicamente per dar vita a un esemplare umano di altissima nobiltà.
      Essenza del suo spirito era il donarsi, e sopratutto, la vita militare fu per Tommaso Latini un dono, una dedizione completa.
      Quando egli la prescelse ben sapeva che quella vita sarebbe stata davvero milizia, e cioè sacrifici, lotte, patimenti.
      C'era nel suo cuore, come in tanti altri giovani, l'istintivo presentimento che eventi grandiosi si preparavano per la nostra Patria. La quasi raggiunta unità, i primi tentativi coloniali, un discreto benessere materiale non potevano significare il raggiungimento delle mete, la definitiva conclusione dello sforzo eroico del Risorgimento, ma solo le premesse per un fatale ineluttabile cammino verso una espansione più vasta, verso un più largo respiro, verso una Italia più grande. Si sentiva l'imminenza di una lotta lunga e aspra, ma certissimamente vittoriosa.
      Con questa visione Tommaso Latini scelse la vita militare, e fu questa il campo ove rifulsero, in modo splendidissimo, le doti del suo carattere, della sua intelligenza, del suo cuore. Si rivelò subito un combattente intrepido, un animatore, un servitore devoto della Patria e del Re.
      Conobbe ogni sacrifico, perché scelse sempre i posti ove più grande era il rischio, ove più aspra era la lotta. Seppe obbedire e comandare; e i numerosi segni di valore che risplendevano sul suo petto, orribilmente squarciato dal piombo nemico, ricordavano le gesta eroiche compiute nella grande Guerra, ove più volte l'ala della Morte bella sfiorò il suo capo, ove il suo giovane sangue sgorgò copioso, donde uscì con un aureola di martirio, per riprendere con indomita volontà, con rinnovata energia, con ferrea tenacia, il suo cammino verso mete sempre più alte e luminose.
      «Ascendere» fu il suo motto: salire sempre più in alto; elevarsi con la nobiltà delle proprie opere, con una vita preclara ricca di ogni virtù civile e militare.
      Aveva raggiunto rapidamente i più alti gradi; comandava ora un Reggimento dei prodi Granatieri di Sardegna: aveva servito, sacra devozione, quale Aiutante di Campo, il Sovrano amatissimo; e dalla benevolenza del Re Imperatore aveva avuto, di recente, il conferimento del titolo di «Conte», riconoscimento altissimo della nobiltà della sua vita.
      Ormai avrebbe potato rimirare con intima soddisfazione, il lungo cammino percorso e sostare e riposare nella sua casa, illuminata dalla grazia della sua adorata Compagna e dal sorriso del suo bel figliolo. Ma il richiamo della Patria in armi fu più forte di ogni altro fascino. Bisognava ancora combattere, bisognava ancora gettarsi nella lotta durissima, servire questa Italia, diventata magnificamente guerriera per volontà del Duce e del Fascismo, ardente passione politica del fedelissimo Camerata.
      L'attendeva la Morte.
      Tommaso Latini doveva morire così: alto, eretto nella sua bella persona, con l'arma spianata fumante contro l'appiattato vile nemico.
      «Viva i Granatieri» fu il suo ultimo grido; e certo, nell'attimo del trapasso eroico, Egli ebbe da Dio la grazia di veder rifulgere nel cielo la luce della Vitoria della Patria immortale. (Archimede Carusi)

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