Albo della gloria

Zippilli Mario

7 dicembre 1942

Albo

      Eroi nostri. Mario Zippilli

      24 novembre 1941. Il 9. reggimento bersaglieri. lasciata Bir Hacheim il 19, all'annunciarsi dell'offensiva inglese, si è portato a El Adem, fronteggiando le mosse nemiche. Pare che si annunci un periodo di calma, ma la mattina successiva, il 25, c'è ordine di movimento immediato; il generale Piazzoni, sfrecciando con la sua vettura fra gli autoparcheggi, accelera le operazioni.
      I tre battaglioni presenti, spiegati a losanga, partono verso est. Automezzi, automezzi ed automezzi a perdita d'occhio; dappertutto, intorno, sfarfallio di piumetti, dappertutto rombare di motori, dappertutto volute gigantesche di polvere ascendono verso il cielo, si stendono e turbinano col vento.
      Dove siamo diretti?
      Una ennesima colonna nemica, risalendo dal confine egiziano, punta su Tobruk e minaccia di attaccare da tergo il nostro schieramento; il 9. Bersaglieri deve fermarla. Tre battaglioni contro una divisione, ma i bersaglieri sono italiani e la divisione è di marca inglese; il conto torna.
      Qualche automezzo salta sulle mine, qualche altro si insabbia, ma nel pomeriggio il carico di giovinezza e di valore giunge a destinazione.
      Siamo sul Trig Capuzzo, la grande pista che da El Mechili porta ad Amseat, sul confine egiziano. A sud e a nord le basse ripe sassose e scoscese dell'uadi; verso est, sul costone, un bianco cubo; è il marabutto di Sidi Rezegh.
      Le truppe appiedano. Pochi ordini, poi i tre battaglioni salgono il breve declivio e si inoltrano sul pianoro.
      Oh, le accoglienze festose all'apparire dei piumetti sopra i cespugli radi, tra l'aspra sassaia! Gli 88 scaraventano granate con precipitosa dovizia; scoppi e boati dappertutto. Gli inglesi debbono avere pletora di munizioni, i bersaglieri, postate le armi allo scoperto, danno mano agli attrezzi ed incominciano ad azzuffarsi, intanto, coi piastroni di macigno per scavare postazioni e trincee.
      All'imbrunire i lavori di rafforzamento, dove sono possibili, sono compiuti, le armi sono postate, le munizioni al sicuro nelle riservette. Col calare della notte la furia degli 88 scema e poi si placa; qualcuno spera di poter riposare. C'è ordine di non montare tende, ma, per non apparir timoroso, qualche ufficiale trasgredisce.
      Chi abbiamo di fronte? Le prime catture ci diranno fra poco che, all'infuori di pochi ufficiali, la divisione della quale il nostro apparire ha troncato la marcia, ha d'inglese solo la paga e l'attrezzamento e l'armamento doviziosi. Vi sono mescolati rappresentanti di tutte le razze, da quelle degenerate dalla bianca, alla gialla e alla nera; quante tinte, dal bruno, il nero, quante diverse manifestazioni di prognatismo!
      La calma dura già da qualche ora. Molti pensano che una dormitina sostituirebbe piacevolmente la contemplazione del firmamento, una delle rare bellezze di questa aspra terra.
      Improvvisamente laggiù, presso il marabutto, una scarica serrata di pistola mitragliatrice lacera il silenzio della notte. Altre scariche incalzano precipitose, poi lampi abbaglianti, tonanti esplosioni e infine la voce lenta e ritmata di armi automatiche.
      Sono le pistole inglesi, sono le nostre a mano, le nostre Breda; che accade al marabutto?
      Mischia serrata nella oscurità profonda. Al marabutto è schierato il XXVIII Battaglione; Mario Zippilli ne comanda uno dei centri di fuoco.
      Un reparto nemico portato dal caso, attraverso un varco, entro le nostre linee, si è diviso in gruppi e questi cercano nel buio i bersaglieri addormentati e li mitragliano a bruciapelo con le pistole da gangster.
      Un gruppo intravede emergere, tra pochi ispidi cespugli, la sagoma di una tenda, vi indovina il ricovero di un ufficiale, che si propone di catturare. Ma mentre gli assalitori si avvicinano qualcuno ne balza fuori; è Mario Zippilli. Egli non ha un attimo di esitazione; ha compreso di essere tra nemici e li attacca subito; con la bomba a mano abbatte il portatore della pistola mitragliatrice, quindi baionetta il nemico più vicino e si scaglia contro gli altri tempestandoli col moschetto.
      Non chiama i suoi, che sente già impegnati nella mischia, la quale arde ormai furibonda d'ogni intorno, moschetto contro pistola mitragliatrice, clava contro arma automatica. Nell'oscurità profonda solo l'istinto può aiutare a distinguere amici da nemici. Ma nonostante le difficoltà, l'incertezza e la sorpresa, i più vicini hanno già affrontato gli assalitori, la cui progettata passeggiata sanguinaria viene mutata in un duro combattimento di pochi valorosi contro la preponderanza del numero e delle armi.
      Mario Zippilli tiene testa ai suoi assalitori. Egli sa che questi vogliono portarlo via vivo, sperata fonte di utili notizie; sa che gli basterebbe abbandonare le armi per aver salva la vita. Ma in quell'ora suprema lo anima e lo incita la memoria del padre, bersagliere del Carso e degli Altipiani, ferve in lui l'orgoglio del giovane fascista, preparato da tempo all'urto inevitabile, lo sostiene il pensiero del suo colonnello, forgiatore di eroi. Per questo non pensa alla resa ma prosegue nella lotta, e continua a combattere come nessuna fantasia di poeta ba pensato che possa combattere un eroe. Egli non è protetto da incantesimi, non ha armi magiche, ma sente già il bruciore del ferro nemico; attraverso le ferite versa già il suo sangue di essere mortale e tuttavia continua a combattere, non per sopravvivere ma per morire.
      L'epilogo fatale incalza. L'allarme si propaga, altri bersaglieri accorrono. Ai radi colpi di moschetto subentrano i rombi e le vampate vivide delle bombe a mano, tra le raffiche serrate e rabbiose delle pistole mitragliatrici si inseriscono le cadenze gravi delle nostre armi automatiche; ai nemici ancora illesi non resta che la fuga.
      Anche quelli che attorniano Mario Zippilli debbono abbandonare la loro impresa, ma, furiosi per essere stati fronteggiati da uno solo, serrano e tempestano più strettamente il valoroso; uno di loro, trovatosi in posizione favorevole, lo colpisce alle spalle e, abbandonata l'arma, fugge cogli altri.
      La ferita è mortale. L' eroico giovane percepisce l'istante terribile del trapasso; nel suo animo si oscura la visione dell'avvenire, cadono tutte le promesse del futuro. Egli, che si sente mancare mentre nessuno gli è accanto che possa sorreggerlo nella persona e nello spirito, non chiede aiuti, non implora soccorsi, ma chiama a raccolta le sue forze, le concentra nell'ultimo palpito del suo cuore di eroe e, poiché non può inseguire con l'agile passo del bersagliere il nemico, della cui fuga ode il calpestio, lo incalza con l'invettiva del soldato per il mercenario.
      I bersaglieri intorno odono la sua voce erompere e sovrastare il fragore delle armi e gridare: «Vigliacchi, vigliacchi» e subito dopo, con accento chiaro chiaro e vibrante, non più di odio ma di infinito amore, proclamare: «Viva l'Italia!». La voce si spande per l'immenso deserto come un vaticinio.
      Mario Zippilli ascende al cielo degli eroi.
     I commilitoni vollero vendicarne la morte.
      All'alba divampò la battaglia di Sidi Rezegh. La divisione nemica lanciò più volte all'attacco le sue ondate, fortissime di uomini e d'armi, sostenute da un fuoco furioso, ma sempre invano; esse furono costantemente arrestate, decimate e respinte. Inutilmente il nemico spinse avanti i leggendari Mac 2; quelli che osarono avvicinarsi furono schiantati dalle armi e dalle bombe anticarro, gli altri tornarono indietro scornati e malconci. Inutilmente profuse munizioni di tutte le specie e di tutti i calibri, irrorando ogni sasso ed ogni cespuglio di pallottole e di schegge, inutilmente fece tempestare i difensori da fitti sciami di aerei.
      I molti dei nostri che caddero infusero ai sopravvissuti tutta la loro fede e tutto il loro coraggio.
      Inutilmente uno stuolo di carri armali sbucò da Tobruch ed attaccò il reggimento alle spalle. Non v'erano armi efficaci da opporre. In tale situazione disperata solo il colonnello Bordoni poteva osare di lanciare contro le mobili fortezze le anime roventi del Battaglione Motociclisti.
      Quei valorosi non si dissero che, protetti da sette centimetri di acciaio, i nemici non avrebbero nemmeno sentite sulle corazze il picchiare delle pallottole dei fucili mitragliatori, ma partirono ruggendo verso la mischia disperata. L'uadi rintronò del rombo di cento motori, le ruote precipitose levarono al cielo in nuvole dense la sabbia del deserto e il battaglione filtrò temerario fra le vampe tonanti e le schegge delle nostre artiglierie e corse come un turbine devastatore sui carri invulnerabili, che volsero in fuga.
      Mario Zippilli avrebbe potuto bollare ancora il nemico del suo disprezzo. Il primo incontro gli era stato fatale ma gli aveva lasciato il tempo e gli aveva dato il modo di valutarlo.
      Egli aveva visto una divisione fermarsi all'apparire di tre battaglioni di bersaglieri ; ne attendeva l'attacco quando questi, appiedando, erano quasi nella impossibilità di combattere, ed il nemico non aveva osato; attendeva ancora di essere attaccato mentre erano in corso i lavori di sistemazione a difesa ed armi e uomini erano allo scoperto, ma il nemico aveva fatto intervenire la sola artiglieria; infine un reparto nemico, capitato fra le nostre linee, non si era messo in cerca di un comando per assalirlo, non aveva tentato di sorprendere le vedette ed occupare qualche nostro posto, di inutilizzare o asportare le nostre armi, ma si era dedicato all'assassinio dei dormienti; non è condotta di soldati questa e l'invettiva scagliata da Mario Zippilli è pienamente meritata.
      Predominio di numero e di mezzi obbligarono le nostre forze a cedere metro per metro il terreno della lotta. Ma dopo oltre un mese di combattimenti che logorò, come le nostre, anche le armi del nemico, questo si trovò, come noi, quasi sprovvisto di mezzi; allora il confronto si poté stabilire ad armi pari e le colonne inglesi, che si erano spinte sino alla Sirtica, dovettero ripiegare in rotta, battute e incalzate dalle nostre eroiche poche divisioni.
      La spoglia mortale dell'eroe giace ora tra qualche sasso e pochi cespugli, quieta ed immota, ma il vento del deserto rimormora senza posa intorno alla rosea croce il grido che le fu l'ultimo palpito di vita: «Viva l'Italia!».
      «Viva l'Italia! » auspica sempre dall'alto Mario Zippilli mirando, oltre le fluttuazioni della lotta, sorgere ed irradiarsi la luce della vittoria. (Muzio Muzii).

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