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      Se mancava loro l'aiuto e rimanevano nel secolo, divenivano un po' di tutto e soprattutto parassiti; buoni però a cantare in coro e nelle processioni senza sconciare il latino. Ma alcuni volenterosi e più arditi, ritornate le vecchie usanze con certi privilegi feudali di parecchi marchesi della regione, andavano a impratichirsi di leggi o di medicina da avvocati e medici di reputazione, poi da quei marchesi venivano titolati medici, chirurghi o almeno flebotomi e procuratori e notai, con diritto d'andar a lavorare tra le genti di quelle parti, ma per farsi far guerra dai laureati veri.
      La regione era povera per natura. Deserta langarum, avevano sempre detto gli antichi, e pare che così fosse stata chiamata fin dai tempi romani. Ma il feudalismo che l'aveva incastellata e sbocconcellata, l'aveva pure disselvatichita; e di esso, da quando il re di Sardegna lo aveva assorbito, v'era rimasto con i mali il po' di bene della mezzadria, per cui di vera miseria non vi moriva nessuno. Vi veniva abbondante il benedetto granoturco, che i langaioli goderono sempre di credere fosse stato portato piccolo, gelosamente, e affidato perché lo propagasse a un parroco di Val di Belbo, da due cavalieri reduci dalle Crociate. Vi prosperavano pure i vigneti. E v'era qualche industria che aiutava a vivere chi non lavorava la terra. Nelle parti delle valli più in su, dovunque scorre un po' delle acque che cascano al Tanaro, al Belbo, alle Bormide, erano state erette da antico delle ferriere, e queste davano da lavorare ai mulattieri che andavano a caricar la vena dell'Elba nei piccoli porti della riviera d'occidente, e ne davano ai boscaiuoli e ai carbonari.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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