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      Ma tuttavia gli pare che siamo tutti un po' ingrati, perché ci degniamo appena di insegnare a riflettere sugli uomini e sui fatti pei quali fu potuto vedere, per dirne una, Galateri in Alessandria far morire Andrea Vochieri, colpevole d'essere mazziniano, e in meno di trent'anni al posto di lui, comandante militare nella stessa città, Nino Bixio, rivoluzionario che quel terribile avrebbe fatto fucilare tre volte e tre fatto risorgere se avesse potuto, per farlo fucilare ancora, certissimo di far cosa giusta. È fatto ancora più notevole per chi ricorda e medita, l'aver inteso parlare di certi conti Galateri, prodi ufficiali che diedero le loro spade all'Italia dal 1848 al 1870. Le idee vinsero! E però si ama anche senza conoscerlo uno di quel nome, che anni sono pregò d'esser lasciato lavorare egli stesso al marmo che Gottasecca, lassù sulle Langhe, volle murare al suo Amedeo Ravina, poeta, avvocato, profugo, impiccato in effigie nel Ventuno.
     
      Ragazzi del quarantotto, nei giorni che Carlo Alberto era cantato da tutti i cuori, udivano narrar dai vecchi che una notte del marzo 1821 tutto il paese era stato svegliato dal tamburo del messo comunale, il quale nel buio andava attorno per le vie, gridando tra rullo e rullo: Urdin du scindic, a v' farz savèi che da duman er prinzi d' Carignan l'è nost Suvran. Dicevano che a quei rulli, a quel grido, le genti si affacciavano alle finestre interrogandosi a vicenda. Che cosa avete detto? chiedeva qualcuno al messo, personaggio temuto; ma questi tirava via, rullando a pause e gridando sempre quelle parole.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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