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      Anche il volgo si dilettava di questa stolta ingiuria di nome.
      I profughi non dovevano essere lontani quattro miglia, qualcuno più stanco era ancora forse nel territorio vicino, in quei tempi come se fosse tuttavia l'età dei castelli, per via di confini ben segnati gelosamente diviso dai territori degli altri Comuni. Nelle case del borgo si parlava di loro o in bene o in male; secondo i partiti, si sperava o si temeva che nel primo paese ove sarebbero passati la gente li avrebbe trattati alla peggio, per solo gusto maligno di contrasto. Intanto era venuta l'ora dei vespri; le vie erano quasi deserte, la chiesa era stipata di gente. I pochi che stavano fuori del borgo a spasso, videro improvvisamente comparire un soldato a cavallo, passar il ponte come un razzo, infilar la via principale, trascorrerla fino all'altro capo facendo sprizzar fuoco dalle selci, riuscire, ripigliar il ponte e sparire. E allora giunsero ansanti da quella parte alcuni contadini a dare una gran notizia che fu portata subito fino in chiesa. Erano lì gli alemanni? Il parroco che stava sul pulpito a predicare discese subito: il sindaco, i consiglieri che sedevano nel loro banco si levarono, corsero a lui, e in presenza di tutto il popolo in piedi e ondeggiante, si misero a parlare ad alta voce, come se fossero in piazza. Gli alemanni erano lì! Che fare? Andare ad incontrarli? Chi sa che cosa poteva avvenire!
      Il sindaco voleva andar lui. Il parroco no, non voleva lasciarlo andare; era troppo focoso, non avrebbe saputo parlare.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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