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      Ai vecchi che raccontavano la scena ancora nel quarantotto, pareva d'udir presente lo schianto di risa degli ungheresi, e dicevano che bisognava aver visto come il parroco aveva fissato gli occhi negli occhi del maggiore, per formarsi un'idea di quanto era rimasto mortificato. Ma ricordavano con piacere che alle offerte d'ogni servizio per lui e per i suoi fattegli dal parroco, quell'ufficiale aveva risposto che conosceva già la bontà degli abitanti, e che s'era messo a dire i nomi di certi monti là intorno, e di quella gran torre e di quel ciuffo di case, che aveva guardato tanto: Carretto, Carretto. Qual meraviglia! Ma egli aveva levato a tutti la curiosità dichiarando che da giovanissimo era stato da quelle parti coi russi a inseguir i francesi rotti nella battaglia di Novi del Novantanove.
      Inseguire! Allora pure, del Ventuno, quell'ungherese inseguiva. Ma pareva che facesse di malavoglia, perché domandò quasi sbadatamente se i fuggitivi avevano continuato a marciare, o erano ancora nel borgo. Agiva così per sentimento suo proprio, o aveva ricevuto ordine di tener dietro lentamente a chi se ne andava? Se mai, da chi quell'ordine poteva essergli stato dato? Quei vecchi, negli ardori del quarantotto per Carlo Alberto, volevano fin credere e far credere che ciò fosse stato per preghiere di lui, Principe di Carignano, punito ma esaudito dal comandante supremo austriaco Bubna entrato in Piemonte. Forse ponevano così senza saperlo alla storia un quesito che non sarà stato posto da altri mai, e che forse non sarebbe possibile chiarire se si ponesse.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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