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      Ma quando si pensa che tutti i rivoluzionari del Ventuno poterono andare in salvo, come se qualcuno avesse proprio prescritto di darne loro il tempo, piacerebbe poter credere e provare che anche quel maggiore ungherese avesse eseguito un ordine ricevuto.
      Non ricordo bene ciò che nel Quarantotto su quello squadrone si narrava d'altro, se quegli ungheresi siano poi stati nel borgo a riposare o se abbiano proseguito quella domenica a marciare: rammento però d'aver udito dire che andarono fino al colle di Cadibona, da dove si scopre il mare, ma non se, per tornarsene in Lombardia, fossero ripassati nella valle stessa percorsa a venire.
      Cosa assai più cara a ricordarsi l'aver conosciuto vivo fino al 1866 uno che nell'anno della rivoluzione piemontese, allora già così lontana, aveva fatto qualche cosa per cui, vecchissimo, era ancora stimato l'uomo più valoroso della valle. Aveva fatto le guerre di Spagna sotto il maresciallo Suchet, n'era tornato con una bella cicatrice di sciabolata in fronte e con una nel petto passato fuor fuori da una lanciata spagnuola. Narrava d'essere guarito sulla nuda terra, in un solco dell'accampamento. Caduto Napoleone, egli, restituito al Re di Sardegna era entrato sergente nel reggimento di fanteria Alessandria, e, scoppiata la rivoluzione del Ventuno, promosso ufficiale, gli avevano dato a portare la bandiera del reggimento. Ed egli l'aveva custodita dopo la rotta dell'Agogna marciando co' suoi, poi appresso da solo fino in Acqui e su fino al borgo di Ponzone sui colli.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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