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      E qui da noi aveva trovato che il paese era nelle sue classi sociali medie, ben disposto al grande rivolgimento. C'erano pur qui i giacobini propagandisti, che avrebbero accettato una rivoluzione anche violenta; e c'erano più numerosi certamente, i preparati ad una repubblica felice, scevra dall'aver subìto l'iniziazione del sangue e del terrore.
      I patrioti italiani erano persuasi che l'Italia era chiamata a scuotere il giogo, a ricominciare la propria esistenza, a riprendere il proprio posto superiore. Infiammati da queste speranze, pubblicavano che per l'Italia era venuto il momento di porsi a pari con la Francia e con la Germania in potenza, come era già a pari con esse per la civiltà e per il sapere. E poiché la libertà non era possibile a conquistarsi se non in uno sconvolgimento generale, pensavano che bisognava affrettare la catastrofe, invece di allontanarne gli effetti.
      Buonaparte seppe sfruttar da par suo quelle passioni, ma per allora a tutto profitto della Francia. Egli amava l'Italia, ma con la prontezza d'intuito di cui era sommamente dotato, così che per l'Italia non si poteva allungar abbastanza la mano per afferrarne l'avvenire e farglielo divenir presente. Troppa era la matassa di filo che bisognava dipanare per ordirle e tesserle una vita nuova; e perciò egli ne fece una riserva d'uomini e di denaro a beneficio della Francia. Alla scuola della guerra si sarebbe disusata dal sopportare muta, e rifatta dallo sbocconcellamento in cui s'era invilita nei secoli, avrebbe acquistato coscienza di sé per l'avvenire.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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