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      Non so il suo nome e non ne chiederò. Innominato, mi resterà più caro e desiderato nella memoria.
      Genova, 5 maggio. Mattino.
      Ho riveduto Genova, dopo cinque anni dalla prima volta che vi fui lasciato solo. Ricorderò sempre lo sgomento che allora mi colse, all'avvicinarsi della notte. Quando vidi accendere i lampioni per le vie, mi si schiantò il cuore. Fermai un cittadino che passava frettoloso, per chiedergli se con un buon cavallo, galoppando tutta la notte, uno avrebbe potuto giungere prima dell'alba a C..., al mio villaggio. Colui mi rispose stizzito, che manco per sogno. Quella notte fu lunga e dolorosa; e ora come posso dormire tranquillo, benché lontano dai miei e a questi passi?
      Ieri sera arrivammo ad ora tarda, e non ci riusciva di trovar posto negli alberghi, zeppi di gioventù venuta di fuori. Sorte che, lungo i portici bui di Sottoripa, ci si fece vicino un giovane, che indovinando. senza tanti discorsi, ci condusse in questo albergo, La gran sala era tutta occupata. Si mangiava, si beveva, si chiacchierava in tutti i vernacoli d'Italia. Però si sentiva che quei giovani, i più, erano Lombardi. Fogge di vestire eleganti, geniali, strane; facce baldanzose; persone nate fatte per faticare in guerra, e corpi esili di giovanetti, che si romperanno forse alle prime marcie. Ecco ciò che vidi in una guardata. Entravamo in famiglia. E seppi sùbito che quel giovane che ci mise dentro si chiama Cariolato, che nacque a Vicenza, che da dieci anni è esule, che ha combattuto a Roma nel quarantanove, e in Lombardia l'anno passato.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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