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      I monelli si gettano a tetra; i frati fuggono come possono con quei gran corpi, camminando dentro i fossati. Una terza palla sfascia il tetto d'una casetta di guardie, lì presso; una granata cade in mezzo alla mia compagnia, e fuma per iscoppiare. Beffagna da Padova vi corre addosso e ne cava la miccia. Bravo! Ma egli non sente o non bada.
      E poi giù i colpi che non si contarono più. Quale furore! Ora la città è nostra. Dal porto alle mura corremmo bersagliati di fianco. Nessun male. Il popolo applaudiva per le vie; frati d'ogni colore si squarciavano la gola gridando: donne e fanciulle dai balconi ammiravano. «Beddi! Beddi!» si sentiva dire da tutte le parti. Io ho bevuto all'anfora d'una giovinetta popolana che tornava dalla fonte. Rebecca!
      E quell'arco della porta per la quale entrammo in città, come l'ho innanzi agli occhi! Mi parve l'ingresso d'una città araba; e un po' mi parve anche di essere alle porte del mio villaggio, che hanno un arco come questo. Mi fermai a dare un'occhiata verso il porto. Venivano su correndo gli ultimi manipoli dei nostri: le due navi borboniche balenavano avvolte nel fumo; e quel nostro Lombardo, adagiato su d'un fianco, mi fece pietà. Dicono che Bixio l'abbia voluto sommergere. Costui dove passa lascia il segno.
      Di guardia sull'antico porto di Marsala. Sera.
      Noi qui non vediamo che cosa avvenga dall'altra parte, dove siamo sbarcati; ma senza dubbio quel fuoco da cacciatori è fatto dai carabinieri genovesi. Forse le navi hanno gente da sbarco a bordo e tentano di metterla a terra.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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