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      Nella notte sono arrivati a squadre molti insorti, armati di doppiette da caccia e di picche bizzarre. Parecchi vestono pelli di pecora sopra gli altri abiti, tutti paiono gente risoluta, e si sono messi con noi.
      Quando movemmo dal campo di Rampagallo, eravamo aggranchiti per aver dormito là senza tende, senza coperte, come capitammo, colla gran guazza che viene giù queste notti. Ma ci liberammo dal freddo assai presto e dopo mezz'ora di marcia si desiderava già l'acqua. Passammo vicino a parecchie fonti, bevevamo cogli occhi; ma Bixio era sempre là inesorabile a far guardia, e non ci lasciava nemmen bagnar le labbra. Ha fatto bene. Uno dei nostri che riuscì a bere, cadde a mezzo della gran salita che mena quassù. Lo vidi dibattersi per dolori atroci, fra gli amici addolorati; un medico gli teneva il polso e tentennava il capo. Speriamo che non sia morto.
      Quella salita scomunicata ci ha fatto rompere il petto, ma pazienza. Arrivando, fummo accolti da una folla d'uomini, di donne, di fanciulli strilloni; quasi non si sentiva la banda che ci suonava il trionfo.
      Una donna, con un panno nero giù sulla faccia, mi stese la mano, borbottando.
      — Che cosa? dissi io.
      — Staio morendo de fame, Eccellenza!
      — Che ci si canzona qui? — esclamai: e allora un signore diede alla donna un urtone, e mi offerse da bere, in un gran boccale di terra. Fui lì per darglielo in faccia; ma accostai le labbra per creanza, poi piantai lui per raggiungere quella donna Non mi riuscì di trovarla. Ma subito una giovane dagli occhi grandi, soavi, e smunta, malata, mi porse un cedro colla destra, e colla sinistra tesa mi disse: — Signorino!


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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