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      Non sanno nulla, si stringono nelle spalle, o rispondono a cenni, a smorfie, chi capisce è bravo.
      Entrai stanco in una taverna, profonda quattro o cinque scalini dalla via. V'era una brigata di amici, che mangiavano allegramente i maccheroni in certe ciotole di legno che... Eppure ne mangiai anch'io. E bevemmo e chiacchierammo, e c'eravamo dimenticati d'essere qui a questi passi, quando venne Bruzzesi delle Guide, il quale ci disse che un grosso corpo di Napoletani è a poche miglia da noi. «Meglio! — sclamò Gatti, — bisognerà vedere che cera ci faranno».
      Salemi, 14 maggio.
      Il Generale ha percorsa la città a cavallo. Il popolo vede lui e piglia fuoco: magia dell'aspetto o del nome, non si conosce che lui.
      Il Generale ha assunta la Dittatura in nome d'Italia e Vittorio Emanuele. Se ne parla, e non tutti sono contenti. Ma questo sarà il nostro grido. Alle cantonate si legge un proclama del Dittatore. Egli si rivolge ai buoni preti di Sicilia. Un rètore ha notato che, preti buoni, sarebbe stato meglio detto.
      Le squadre arrivano da ogni parte, a cavallo, a piedi, a centinaia, una diavoleria. E hanno bande che suonano d'un gusto! Ho veduto dei montanari armati fino ai denti, con certe facce sgherre, e certi occhi che paiono bocche di pistole. Tutta questa gente è condotta da gentiluomini, ai quali ubbidisce devota.
      Piove dirotto. Del nemico notizie diverse o contraddittorie. Sono quattromila; no, diecimila, con cavalli e cannoni. Si fortificano sui tali monti: no, sui tali altri: si avanzano, si ritirano rapidamente.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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