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      «Uccidete l'infame!» urlò Bixio, e spronò su di lui colla sciabola in alto. Ma il feroce scivolò fra le roccie e disparve, più bestia che uomo.
      Macchiette nel quadro grande, veggo quei francescani che combattevano per noi. Uno d'essi caricava un trombone con manate di palle e di pietre, poi si arrampicava e scaricava a rovina. Corto, magro, sudicio, veduto di sotto in su a lacerarsi gli stinchi ignudi contro gli sterpi che esalavano un odore nauseabondo di cimitero, strappava le risa e gli applausi. Valorosi quei monaci, tutti fino all'ultimo che vidi, ferito in una coscia, cavarsi la palla dalle carni e tornare a far fuoco.
      Durante la battaglia, sulle alte rupi che sorgevano intorno a noi, si vedevano turbe di paesani intenti al fiero spettacolo. Di tanto in tanto, mandavano urli, che mettevano spavento ai comuni nemici.
      Quando questi cominciarono a ritirarsi protetti dai loro cacciatori, rividi il Generale che li guardava e gioiva. Gli inseguimmo un tratto; disparvero in una fondura! riapparvero fuori di tiro, nella montagna, in faccia, seguiti da un centinaio di loro cavalli, che stati in agguato sino a quel momento, li raggiunsero a briglia sciolta. Dal campo, stemmo a vedere la lunga colonna salire a Calatafimi, grigia lassù a mezza costa del morite grigio, e perdersi nella città. Ci pareva miracolo aver vinto. Si mise un vento freddo gelato. Ci coricammo. Era un silenzio mestissimo. Si fece notte in un momento, ed io con Airenta e Bozzani ci addormentammo in un campicello di grano, accarezzati dalle spighe curve sui nostri corpi.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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