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      Stamane, quando suonarono la sveglia, rompeva appena l'alba, ma qualche allodola cantava già alta nell'aria. Credeva che si dovesse marciare all'assalto della città, perché ieri sera intesi il Generale parlarne con Bixio. Ma nella notte era venuta gente da Calatafimi, ad annunziare che i regi partivano alla volta di Palermo. Allora volli fare un giro pel campo.
      Ritrovai Sartori là ancora dov'era caduto. Nessuno lo aveva toccato, ma pareva morto da tre giorni. Le sue guancie erano divenute smunte, i suoi capelli tesi, la pelle d'un giallo che non si poteva guardare. Mi si strinse il cuore, e non ebbi forza di dargli l'ultimo bacio. Egli lo avrebbe fatto, egli mi avrebbe seppellito colle sue mani!
      Ora, di qui, io veggo il colle quieto e deserto. Ieri fin le pietre parevano là vive ad aiutarci! I nostri morti che giacciono su quei dossi, sono più di trenta. Gli ho quasi tutti dinanzi agli occhi, come erano due giorni or sono, baldi, confidenti, allegri. Ma un d'essi mi mette non so che sgomento nell'anima, quell'ufficiale che vidi a Novi, che rividi a Salemi, e non rivedrò mai più. Anche De Amicis è morto, e rimasto la nella gloria con nome non suo!
      Meno da rimpiangere i morti, perché i poveri feriti, raccolti in quel misero villaggio di Vita, soffrono Dio sa come, soli, senza cure, senz'altra difesa che la loro impotenza. E se vi capitasse una colonna di questi soldati feroci, che hanno l'ordine di non dar quartiere.
      Tramonta il sole. Giù nella città le bande empiono l'aria di suoni.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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