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      — Con questi discorsi ci ponemmo in marcia che il sole andava sotto.
      Era già quasi notte, quando, abbandonata la strada militare, ci posero per sentieri angusti, in mezzo, a un bosco, zitti, umiliati, pieni di malinconia. Verso le dieci fummo fermati, e ci si comandò di coricarsi ognuno dove si trovava; vietato il fumare, il parlare, il muoversi. Mi coricai accanto ad Airenta, guardando un gran fuoco che brillava lontano nei monti; e quella vista mi ridestò la memoria dei fuochi, che s'accendono nelle mie valli, la vigilia delle sagre. Provai una passione dolcissima, e in essa mi addormentai.
      Quando mi destai era l'alba. Le compagnie si ordinavano silenziose. Seppi che nella notte i regi che c'inseguono, passarono poco discosti, per la strada militare, e che le nostre sentinelle gli hanno veduti. Vanno innanzi sicuri e fidenti di raggiungerci, e ci hanno alle spalle. Ora si comincia a capire la nostra ritirata di ieri e l'allegrezza rinasce.
     
     * * *

      Mezzo nudo e mezzo coperto di pelli come un selvaggio, smunto, colla fame nelle guance e colla passione negli occhi, il povero giovinetto ci moriva addosso di voglia stando a guardarci schierati fuori del sobborgo.
      — Come ti chiami?
      — Ciccio.
      — Che cosa fai qui?
      — Sono venuto con voi dalla Piana dei Greci.
      — E dove vai?
      — Con voi.
      — Così scalzo e malandato?
      Si mise a sedere e non rispose. Gli trovammo da coprirsi e da calzarsi, e così rifatto lo pigliammo con noi. Allora, allegro che parve un altro, avrebbe voluto uno schioppo; dopo mezz'ora conosceva già tutta la compagnia e ci chiamava a nome.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





Airenta Piana Greci