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      Noi, per esempio, appena fuori avemmo una mezza rissa.
      Benedini da Mantova, nostro medico, tutta la via aveva brontolato che a Monreale ci andava di malavoglia, perché sapeva esservi stato detto di noi, che siamo venuti a mangiarci l'isola, e che bisognerebbe sonarci le campane addosso.
      E noi a dirgli: «Chetati, son cose da celia...» non ci sognando che cosa gli frullasse. Ma lui? In chiesa s'era stizzito di più; e uscendo, al primo che gli capitò di vedere con aria non di suo genio: «Sei tu che ci vuoi fare i vespri?».
      Colui che pur non era uno zotico, tra il capire e il no, sembrò viso di voler dir di sì. E Benedini gli menò. Oh che guaio! Se non capitava pronto un prete, addio!
      Venendo via, ne dicemmo a Benedini...! Ma egli tranquillo, gli pareva d'aver fatto l'obbligo suo.
      Convento della Trinità, 15.
      Ho visitato il colonnello Carini in una cameretta lassù e dell'albergo alla Trinacria. Dove se n'è andata tutta quella floridezza di carni? Tenendomi per la mano mi chiese del Dittatore, della compagnia, degli amici; poi d'improvviso: — C'eravate ai funerali di Tuköry? — Colonnello, sì. — Egli guardò intorno e mi strinse più forte la mano.
      Due giovinetti gli stanno in camera senza lasciarlo mai, tutti lui negli occhi brillanti di lagrime, rattenute appena mentre egli m'aveva chiesto se ero stato ai funerali. Quando egli partì esule nel quarantanove, quei suoi figliuoli dovean essere bambini affatto. Vennero da Messina coll'agonia di abbracciarlo, di trionfare con lui vincitore, e lo trovarono inchiodato da quella maledetta palla bavarese.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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