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      Immagino il vecchio austero sulla porta della sua Pradalunga, intento a guardare il figlio che gli ha dato le spalle, e se ne viene giù verso Bergamo, con passo da Clefta. Non l'hanno guasto nè l'ozio nè i vizii costui: la storia della sua giovinezza l'ha in fronte; forse più che caccie e corse su in alpe non ebbe altri spassi. A Calatafimi fu visto coprire il Generale mettendoglisi dinanzi, perché, come indossava camicia rossa, era fatto segno alle schioppettate. E in uno dei momenti che la battaglia parea volgere a male, egli tenne alto l'animo dei suoi vicini, gridando parole potenti come d'arcangelo.
      Missilmeri, 22 giugno.
      Il generale Türr gli si è riaperta la ferita, e ha dato sangue dalla bocca. Da quando entrammo in Palermo, quest'uomo ha fatto tanto che si e ridotto un'ombra. La brigata è afflitta, perché si teme che egli debba lasciarci. Lo vidi un istante, smunto, pesto negli occhi, le labbra pallide, il petto che pare schiacciato. Ma che sia davvero quel sottotenente degli Ungheresi passati nel mio villaggio l'anno quarantanove, dopo la battaglia di Novara? Li ricordo come li vedessi ora. Erano forse cento bei giovani, che portavano una gran bandiera tricolore; le loro persone alte s'avanzavano mezzo nascoste nel polverìo della strada al sole di marzo, e quando imboccarono il ponte gridarono: Elien Elien! alla gente corsa ad incontrarli. Quel sottotenente in mezzo a quei soldati mi pareva tanto allegro, e tuttavia mi si stringeva il cuore sentendo dir da mio padre: Sono Ungheresi, gente che l'Austria fa patire!


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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