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      Eravamo noi di Eber, quei di Bixio quei di Medici, la brigata Milano; e vengono pure gli Inglesi della legione, gente bella, vestita come noi; camicia rossa, divise verdi ma di panno finissimo, cinture lucide come se tornassero dall'India.
      Il giorno è nefasto.
      Cadde il cavallo del generale Bixio, e l'eroe, rotta la testa e una gamba, si lasciò trasportare a Napoli, guardandoci con invidia. Non è che un uomo, ma senza lui, par che manchi qualcosa nell'aria.
     
     * * *

      Ci siamo accampati sull'orlo d'un bosco in cui potrebbe cavalcare Angelica fuggente; eppure lo chiamano Caianello, come se fosse un cesto di granetto fatto nascere per ornare il Presepio.
      Intanto, che ci siamo venuti a fare? Là c'è Capua. i Calabresi che abbiamo trovato qui, ci dicono che i borbonici fanno delle apparizioni in quei fondi laggiù. A destra, lontano, abbiamo Gaeta. Quelli devono essere i monti di cui mi parlava il vecchio Colombo, quando raccontava d'essere stato nell'ottocentocinque, all'assedio fatto da Massena. E mentre io penso a lui che fu pure soldato della legione di Garibaldi in America, egli parla forse di questi luoghi con mio padre, che glie ne domanderà chi sa con qual cuore.
      Oh! io vorrei esser quel falco, gettarmi da un capo all'altro del cielo, mandando strida per l'aria che imbruna! Ora a quella campana...! Di dove suona? «Era già l'ora che volge il desio...».
     
     * * *

      Chi dice che siam qui per dare l'ultima battaglia, e che mentre combatteremo contro i cinquantamila borbonici che ancor tengono per Francesco secondo, arriveranno i soldati di Vittorio Emanuele con lui in persona, discendendo dall'Abruzzo per la via di Venafro.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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