Pagina (165/167)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Ma passato questo giorno non saranno ricordati solennemente mai più? Furono da cento nomi d'umili ignoti o d'illustri, e a ogni nome un fremito correva tutta la nostra fila. Meglio morti o vivi? Si diffondeva una malinconia cupa che pur pareva entusiasmo.
      Quando toccò a noi, si andò chiamati ad uno ad uno dinanzi al seggio, dove una giovinetta, alzandosi sulla punta dei piedi, ci metteva la medaglia sul petto, e intanto guardava di sotto in su con due grandi occhi gioiosi. Chi fosse non so, né chiesi di lei. Che giova il nome? Udii il Generale che volgendosi a una dama vicino a lui, diceva: — Vede? Quelle facce le conosco tutte, le vedrò finché vivrò.
      Intanto le bande suonavano, e quella dei Granatieri pareva dicesse: Basta, ora basta, andate!
      Caserta, 9 novembre. Sera.
      Oggi il Palazzo reale guatava il viale che gli si protende dinanzi lontano lontano, e pare che voglia arrivare sino a Napoli; guatava le file dei battaglioni rossi distese sotto i grandi alberi immobili e cupi sotto il cielo basso. Doveva venire il Re a passare in rassegna tutto l'esercito garibaldino, un dodicimila che stavamo con l'armi al piede, in ordine di parata. Si aspettava! Il Re sarebbe arrivato verso le due, lo avrebbe annunziato il cannone. E intanto nelle file si parlava, e passavano delle novelle bizzarre, motti, arguzie, cose da poema e da commedia. Udii persino delle volgarità. Ma non v'era allegrezza. Anche le nuvole, calando sempre più, mettevano non so che freddo, e l'ora, passando, portava stanchezza.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





Generale Granatieri Palazzo Napoli