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      Certi Veneti del mio battaglione dicevano sottovoce che quando fosse passato il Re, sarebbe stato bello circondarlo, pigliarselo, menarlo nei monti, e di là fargli dichiarar la guerra per Roma e Venezia. Che fossero visi da farlo? Alcuni sì; i più dicevano per dire. Ma nel più vivo di quei discorsi s'udirono le trombe dalla destra della lunga linea. Attenti... il Re!
      I battaglioni si composero, si allinearono, i cuori battevano, chi amava, chi no. Poi venne giù una cavalleria trottando... Ah! quello che cavalcava alla testa non era il Re: era Lui col cappello ungherese, col mantello americano, e insieme a Lui tutte camicie rosse. Quel cappello calcato giù sulle sopracciglia segnava tempesta. Vennero, passarono, lasciando un grande sgomento, arrivarono in fondo al viale, diedero di volta, ripassarono come un turbine, sparirono. E poco appresso i battaglioni furono messi in colonna di plotoni.... pareva che si dovesse marciare a qualche sbaraglio, tutti si era pronti... Così si andò verso il Palazzo reale, a sfilare dinanzi al Dittatore piantato là sulla gran porta, come un monumento. E si sentiva che quella era l'ultima ora del suo comando. Veniva la voglia di andarsi a gettar a' suoi piedi gridando: Generale, perché non ci conducete tutti a morire? La via di Roma è là, seminatela delle nostre ossa! — Ma la guerra civile? Ma la Francia?... L'anno scorso fummo così amici con la Francia!
      Il Generale, pallido come forse non fu visto mai, ci guardava. S'indovinava che il pianto gli si rivolgeva indietro e gli allagava il cuore.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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