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      Così dicendo lo accompagnò fuori dell'uscio, ed egli risalendo alla sua camera, dalla contentezza non toccava i gradini coi piedi. Là si mise a guardare il cielo dalla finestra; il cielo che in quell'ora, coi suoi splendori infiniti, gli pareva cosa meno lieta di quel che la terra stava per divenire nelle sue nozze vicine. Ma chinando gli occhi, vide nel giardino scuro, un tratto riquadro del suolo, su cui, traverso la finestra di sua madre, posavano i raggi del lume che essa teneva acceso. Quel tratto di suolo, lo percosse come la vista d'un sepolcro scoperchiato; e subito gli passò per la mente, fantasia maluriosa, l'ultima notte, in cui, la sua dolce madre sarebbe giaciuta morta sul proprio letto; e il lume funereo avrebbe posato i suoi raggi in quella maniera lugubre, da quell'istessa finestra, forse su quell'istesso tratto di suolo. Provò l'amaro desiderio di morire prima di quella notte, e chiuse le imposte pensando che grande miseria sarebbe stata quel giorno, in cui nè in casa nè fuori avrebbe più incontrato sua madre. «Che la vita sia corta è un bene: - mormorò allora avvicinandosi ad uno scaffale - e guai a noi se uno potesse farci dono dell'immortalità qui in terra, nel momento che ci muore la madre!.... Sì, che la vita sia corta è un bene, e chi se ne lagna ha torto; perchè coll'amore, collo studio, col lavoro, si può farla valere secoli.» Così dicendo prese un grosso volume, l'aperse sul tavolino, sedette, e raccolte le tempia fra le mani, si sprofondò nella lettura, o forse in chi sa quali pensieri.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480