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      La donna arrivata con lui il giorno ch'egli chiamava del suo avvento, era una sua sorella più vecchia che ei si teneva in casa; creatura spersonita ed infermiccia, che proprio reggeva l'anima coi denti. Era così asciutta e grinzosa, che un parente tornato a vederla dopo mezzo secolo, non avrebbe osato abbracciarla, dalla tema di sentirsela scricchiolare tra le mani. Sotto la cuffia che colle guarnizioni faceva alla faccia scarna una cornice disadatta, mostrava corti capelli color di cenere, che forse erano una parrucca: un'aria soave di purità, spirava da tutta la sua esile persona; aveva di bello gli occhi, neri, grandi, pieni d'una profonda bontà. E buona la era davvero, sebbene la natura e la fortuna se la fossero presa in fra due; e la prima n'avesse formato una di quelle creature che stanno sulla terra lunghissimi anni, e paiono sempre vicino a morire; l'altra l'avesse posta tra quelle donne, costrette a rimanersi zitelle e ad invecchiare in casa a qualche congiunto, non care, non respinte, sofferte quasi da serve. La poveretta bisognosa di consolazioni più che d'aria per vivere; dopo la sua venuta a D.... non ne aveva avuto che di due maniere, quasi da celia. Ed una era questa che se la quaresima capitava al presbiterio qualcuno, recando uova e salati, e chiedendo licenza di mangiar latticini e di non digiunare, per sè o per un ammalato; essa con aria mistica e solenne mandava il supplicante, sciolto dalle discipline del magro e del digiuno; e non dimenticava mai di dire, che a concedere quelle licenze, il vescovo ci aveva messo il pievano, e il pievano ci aveva messo lei.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480