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      Sentita la messa tornava che di solito la padrona era ancora in camera; e s'accingeva alle sue faccende, talvolta cantarellando, talvolta brontolando, ma sempre festosa come una cuffia nuova sul capo d'una bella dama.
      L'indomani di quella sera, in cui Giuliano ne aveva detto di così grosse; sebbene non avesse quasi dormito, la campana di castello cominciava appena a suonare l'avemaria, e Marta era bell'e vestita e pronta ad uscire. Pensiamo un po' che stupore dovette essere il suo, quando giunta alla porta, o tesa la mano, per agguantare la chiave, non la trovò nella toppa! Subito si rammentò che la sera innanzi la padrona aveva voluto chiudere da sè; pensò che la chiave se l'era portata di sopra, e indovinò anche la cagione di quella novità; ma le parve che non fosse l'ora da andarla a disturbare. Però l'idea di mancare quel mattino alla messa, le fece avvampare il vecchio sangue, che già le impaludava nel cuore; e fattasi animo, salì dalla signora, la trovò desta, chiese perdono; e avuta la chiave s'affrettò a rimettere il tempo perso. Nell'aria si udiva tuttavia la romba della campana, ed essa già entrata in chiesa; si rannicchiò nel banco dei padroni, si segnò, guardò, e tra due moccoli accesi allora, vide il signor pievano che saliva all'altare. Lieta d'essere giunta a tempo, pur non potè difendersi dalla stizza della sera innanzi; e quella storia delle chiavi custodite dalla signora; i certi dubbi e paure che non sapeva donde venissero, le ingombrarono la mente, con i pensieri che non erano d'orazione, tornarono ad assalirla; si raccomandò al santi, alla Madonna, si morse le labbra, invano: la sua testa andava in volta, e la messa fu finita senza che, povera donna, le fosse riuscito di recitare un intero pater.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Giuliano Marta Madonna