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      Io l'avrei raccomandato al marchese di C..... al conte di P....., e quando fosse stato tempo, questi delle licenze di curare i malati, gliene avrebbero dato, per amor mio, non una ma dieci....! Ma egli, superbo, no....! questi dei nobili, che danno licenza ai medici, sono privilegi di medioevo; io non ci vado a trottare sulla mula tre o quattro anni pei monti, per essere poi ammesso al cospetto del marchese, a disputare dell'arte mia col prete di casa....! io non ci vado a farmi compatire dal nobiluomo, che colla parrucca in capo e colla pergamena già pronta, accennerà cortese o farà rabbuffi, se il pranzo non gli avrà fatto pro: io non ci anderò a tribolare l'umanità mandato da questi signori.... no....! ha detto così il superbo, e andò a Torino.... Almeno ci stesse per sempre laggiù! ma vedete come egli è ritornato pieno di religione? Voi dite che egli è venuto a fare la pasqua.....; tutti i galantuomini a quest'ora l'hanno già fatta, ma lui, lui chi l'ha veduto?
      «Ma! sospirò Marta facendo spallucce, in guisa che parve una chiocciola che ritraesse le corna nel guscio.
      «Basta! - soggiunse risoluto il pievano - vedremo che intenzione ha: ditegli che stamattina l'aspetto.»
      E diede di volta, piantando la povera vecchia; la quale stata un poco, come non sapesse più ritrovare la via, partì, un passo innanzi l'altro, colla mente a quelle parole, che le suonavano col sordo rumore d'un temporale vicino. Discese di castello, con una gran guerra di pensieri nel capo; e giunta a casa, buttato il mesero su d'una sedia, si mise a rassettare e a spolverare gli arredi, senza badare a non far rumore; parendole che la padrona non avesse a rimproverarla d'averla sturbata, dacchè pel figliuolo di lei, le era toccato dal pievano quella mortificazione.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Torino Marta