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      .., la sua ambasciata, il signorino... non l'ho ancora veduto...» - E subito aggiunse colla mente: «dacchè l'ho lasciato qui.
      «E per dove è partita la signora!
      «Ma..., se per in giù o per in su... non mi ha detto nulla... Già sarà per affari; morto il padrone buonanima tutti hanno approfittato per usurpare,...» Qui si picchiava mentalmente il petto, per le due bugie sgusciatele in un lampo; e pensando che se il pievano stava là un quarto d'ora, altro che purgatorio! faceva il conto agli anni di pena che s'era procacciata, contandone sette per ognuna di quelle bugie.»
      Il prete che non soleva farsi uccellare, mise in disparte quel discorso, e fissandola bene tra ciglio e ciglio, le disse:
      «Dunque il signorino si può vederlo?
      «Ah! questo sì... - rispose essa rimescolata - cioè, posso guardare, era qui..., sarà là... sarà...»
      Sarà di qua sarà di là, avrebbe dato i suoi salari di cinquant'anni, se in quel momento le campane del castello avessero suonato qualcosa, anco se occorreva una agonia, pur di vedere il pievano tornarsi addietro: invocò un'altra volta il cielo, ma il cielo l'abbandonò; e don Apollinare segnando col bastone in fondo all'orto, mostrò d'aver scoperto Giuliano, che si vedeva traverso il fitto degli alberi, non ancora fronzuti. Senza dire alla vecchia nè ai nè bai, s'avviò da quella parte, punto da una smania che gli correva dal cuore sino al sommo dell'unghie; ma da uomo avvisato si seppe rattenere, e pigliare in viso un poco di calma.
      Giuliano gli dava le spalle; ma udendo le pedate, si volse e vide lui, e Marta dopo che trinciava segni, faceva l'occhio supplichevole, e coll'indice teso su dal mento in sulla bocca, pareva volergli dire mille cose, e che fosse prudente.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Apollinare Giuliano Marta