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      L'affetto del canto, temperava la rozzezza delle parole; e le rondini, tornate di quei giorni, radendo a volo i prati, levandosi in alto alcune braccia, stando a brillare un istante, e ripiombando fulminee, parevano far segni di rispondenza amorosa alla cantatrice.
      Giuliano diede un'occhiata per di sopra al siepe, e vide che la cantatrice era Tecla, una figlia sedicenne di Rocco, il suo colono. Essa stava seduta all'un dei capi d'una lunga tela greggia, distesa là sull'erba, perchè tra per l'acqua che vi si buttava sopra, e pel sole divenisse bianca. E se ne raccoglieva sulle ginocchia, tirando e addoppiando di quella, quanto erano lunghe le sue braccia nude fino al gomito; e la tela s'accorciava man mano, strisciando sull'erba; e per il fruscìo la giovinetta non avendo inteso la pedata di Giuliano, proseguiva a cantare. A un tratto si accorse di lui che s'era fermato lì accosto, e tacque arrossendo. Finito di raccogliere la tela, si levò in piedi rimescolata, e tenendosela in fascio contro il seno, stette vergognosa di vedersi guardata come non s'era mai vista da niuno.
      «Perchè non canti più? - le chiese il giovane: ed essa cogli occhi bassi e col cuore agitato, fece atto di partirsi senza dir nulla.
      «A buona Tecla, tu sei felice! - proseguì Giuliano - oh! se Bianca fosse nata qui, lontana da quella gente... e povera come te. Se tu fossi Bianca! Addio Tecla, va... canta, canta pure, che sei felice.»
      La fanciulla si tolse di là dimessa e sbigottita. Egli stette a guardarla, poi sclamò: «in verità vorrei essere nato contadino, perchè sento che a falciar erba e a vangare campi sarei felice come sei tu!


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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