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      » Qui subito pensando al colloquio avuto con don Apollinare, soggiunse sdegnoso, e parlando a sè stesso: «e tu! - tu osi dire che questa povera gente è felice? E sai tu l'anima di questa fanciulla? Tu che ti trattieni a guardarla; e le dai del tu; e solo che ti venisse in capo, potresti farla piangere, mandandola ramminga coi suoi, fuori del tuo podere?»
      Così pensando fu in casa. Là Rocco, il padre di Tecla stava pigliando gli ordini della signora, che gli raccomandava di tenersi lesto all'alba, col suo bardotto e colla giumenta del figliuolo. Il quale aggiunto qualcosa di suo, e stato in sala un altro poco; prese licenza e andò a gettarsi sul letto, dove quanto fu lunga la notte non gli venne fatto dormire mezz'ora di seguito, travagliato com'era dai pensieri che ogni poco gli rompevano il sonno.
      In sala rimasero la signora e Marta, le quali ad ogni più leggero rumore tremavano, e credevano fossero i birri. Vegliavano per essere pronte a far fuggire il giovane prima dell'ora fissata, dove occorresse; ma quando l'orologio di castello ebbe suonate le sei d'Italia, e per tutto fu quiete altissima, la fantesca disse:
      «Signora, se ne vada pure a riposare, che oramai se qualcosa aveva ad accadere non saremmo più qui...»
      E tanto fece e disse, che la signora, sebbene non volesse per nulla, dovè andarsi a riposare. Ma prima salì in camera a Giuliano, che appunto dormiva uno di quei corti sonni che ho detto. S'avvicinò cauta, facendo schermo colla mano al lume, che dandogli negli occhi non lo destasse, e lo guardò con amore lungamente.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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