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      Rocco montò un po' meno agile sul bardotto, avendo in groppa il fardello del giovane; e questi innanzi, ed egli dopo, pigliarono la stradicciuola, che menava a varcare i monti, pei quali le due valli della Bormida sono divise.
      Le donne stettero a guardargli dietro, e v'era poco discosto Tecla, venuta quella mattina più sollecita dell'altre volte, a recar latte per la famiglia. Tenutasi in disparte, finchè essi furono partiti, aveva gli occhi lagrimosi, e pareva accorata. Marta fattalesi all'orecchio, le bisbigliò: «che piangi, sciocca? Va altrove, che la padrona ha bisogno di tutt'altro che di vedere le tue lagrime. Va, va, che tuo padre tornerà, e di qui a stassera non c'è molto».
      Tecla se n'andò, lasciando la vecchia punto dubbiosa di avere indovinata la cagione del suo pianto; e questa rientrò in casa colla signora. La quale sfatta per quel che aveva patito dal giorno innanzi, sedette come persona inferma; e voltasi alla fantesca le disse:
      «Marta; e tutta la paura che ebbimo del pievano? Fummo pur pronti a pensar male....
      «Che vuole! - rispose Marta - ieri mattina egli se n'è andato così furioso; il signorino glie ne aveva dette di così grosse! Ho fatto i giudizi temerari.... povera me, chi si salverà farà la gran bella giornata....!»
      In verità, sebbene i fatti dessero ragione ai pentimenti di Marta, il pievano s'era partito il dì innanzi da quella casa, proprio col proposito di pigliar vendetta a suo modo del giovane giacobino. Risalendo in castello v'aveva meditato sopra, e non vedeva l'ora d'averlo tra le mani senonchè, rientrando nel presbiterio, s'era abbattuto in donna Placidia che gli porgeva una lettera, suggellata grossamente con cera di Spagna, e il Minore Osservante che gli si faceva incontro, dicendo in tuon di celia:


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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