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      Narravano, con sazievole loquacità, a tutta la canatteria di soldati scribi, ond'era ingombro il quartiere, come avessero avuto uno zio, morto a Belgrado, capitano ai servigi dell'Impero; e ne ponevano in mostra il ritratto, meravigliando che quei soldati non s'inginocchiassero a salutarlo.
      Quel giorno, in quella casa, tutti s'erano accorti del tempo ch'era cattivo: e quando videro l'uffiziale entrar dal generale, lo salutarono, gli fecero dietro gli occhi grossi; e osarono compiangerlo, perchè certo andava a farsi scaricare addosso qualche sfuriata.
      Com'egli fu dentro; e vide il generale imbroncito, fece come quei soldati, che, dovendo starsi colle armi al piede, bersaglio d'un nemico cui non possono assalire, chinano il capo rassegnati a qual sorta di grandine stia per cadere. Recò la destra alla visiera, e rimase poco oltre la soglia, stecchito, gli occhi negli occhi del generale: il petto sporto, e l'altra mano giù dall'anca, che pareva di legno posticcia.
      «Cinque passi in qua! - disse asciutto asciutto il generale.., e l'altro avendo fatti i cinque passi contati, senza scomporsi: - Signor uffiziale - continuò - ho qui per lei un plico, che mi si raccomanda molto da Vienna; vi deve essere dentro la licenza datale, di sposare una zitella di questa bicocca, e su questo non ho a ridire. Ma ella mi ha taciuta la dimanda fatta di qua a sua Maestà; (qui salutò come se l'Imperatore fosse stato là a udire) ella non s'è governata da quel soldato che crede d'essere ed è. Sia grata, non a me, ma al rispetto che ho per la sua promessa sposa, a me ignota, se mi accontento di consigliarla a non dimenticare fra le gioie del matrimonio, che noi siamo qui per menar colpi di spada in servizio dell'imperatore.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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