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      E però s'era messo per quel passo mal destro, come avesse gente insieme che andasse a mal fare.
      Ebbero a tribolare oltre il ponte anche un poco, poi risalendo a mancina su per la ripa erbosa, furono sulla via, grande, ma scura scura per i pioppi fitti che non vi lasciavano raggiare la luna, levatasi pur allora. Di là per campi e per vigneti, giunsero alla villa, dove la famiglia del colono era già a riposo. Solo vegliava il capo di essa, uomo di buona età e vigoroso, il quale sedeva sulla soglia della casa, e faceva guardia alla roba, per tema dei soldati Alemanni, che uscendo la notte dai loro campi, andavano rubando, e ogni mattina s'udiva a parlare di pollai vuotati, e sin di vitelli rapiti.
      «Chi va di notte! - chiese costui levandosi ritto, con un grosso bastone fra le mani, e venendo oltre al rumore delle pedate.
      «Siam noi, Lorenzo, - rispose il signor Fedele.
      «Come? il padrone a quest'ora? che fatto è? perdoni, chiamo i figliuoli....
      «No no..., sta cheto, vogliamo far domani un po' d'allegria, e veniamo sin d'ora...; non abbiamo mestieri di nulla, salvo d'un po' di lume, che tu m'aiuterai ad accendere, e poi tornerai alla tua guardia.... Avanti figliuolo, che la guazza fa male...»
      Entrati nella palazzina, e acceso il lume, il colono se ne tornò a' fatti suoi, un po' maravigliato dell'aspetto delle signore che parevano venute a un mortorio: e il signor Fedele senza far ad esse parola, le mandò a dormire, Poi s'appartò taciturno, s'allungò in sul letto, s'affagottò tra le lenzuola; e là si mise a pensare come avrebbe trovato modo di indur Bianca alle buone, a quel matrimonio.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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