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      Ma per sè non poteva sperare che lo sterile rifugio d'un monastero; e in quei giorni di silenzio e di solitudine, ne parlava seco stessa, menzionando la pace, il sepolcro, mille malinconie; in guisa che se la zia l'avesse intesa, si sarebbe alfine levata contro il cognato; e delle due l'una, o egli smetteva dal tormentare Bianca, o essa se ne sarebbe andata a vivere da sè.
      «Ma! - diceva la povera giovane, in certe ore che l'aspetto della vita le si faceva più lugubre: - quando sarò nel monastero, e mi avranno tagliati i capegli, e la mia faccia si sarà fatta smorta; se egli venisse a vedermi una volta, e mi ravvisasse, e mi dicesse: «tale divenisti per amor mio!» oh! come sarei lieta di morire in quel momento! Ho udito dire che le monache pregano nelle loro chiese dietro le grate, non viste.... E se egli venisse in chiesa per vedermi...., se cantasse per farsi conoscere da me...! Già, non intesi mai la sua voce, non ci siamo mai parlati....! Eppure quanti discorsi abbiam fatti, egli dal terrazzino di don Marco, io dalla nostra altana! Mai una parola.... mai un cenno....; ma fa bisogno di dirsele certe cose? Chi sa dove sarà? A D...? Chi sa se mi incontrerà mai più....? Oh! viva o morta lo sentirò venire e tremerò tutta!»
      Di questo andare, s'era accostumata a considerarsi già fatta monaca; e mai che le fosse venuto in pensiero di ribellarsi del tutto, fuggire, e andar in cerca di Giuliano, o di fargli sapere di sè per qualcuno di mezzo. Scrivergli non avrebbe osato; solo il filo di speranza che attraversava le sue miserie, faceva capo a don Marco; e qualche momento osava sperare ch'egli avrebbe rimediato a ogni cosa; ma quel pensiero di lui su' Francesi che sarebbero venuti a liberarla, cominciava a parerle una promessa mancata.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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