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      Cantavano litanie e salmi a verso a verso, e ogni poco prorompevano in urli feroci, come a tener deste le ire; e innanzi a tutti cavalcava un prete.
      «Quelli là hanno a essere quei di D....; li conosco, conosco la giumenta del pievano....» - dissero a un tempo due o tre della brigata venuta dal convento: - se da tutte le pievi ne vengono tanti, ci troveremo a C... parecchie migliaia. Viva il pievano di D...!
      «Viva San Francesco!» risposero quelli che erano proprio di D...., e il pievano levò in alto il cappello, a salutare tre volte, con atto d'un generale.
      Don Apollinare in quel momento eroico della sua vita, si rifaceva gongolando delle cose patite nell'ultime settimane. Le sue pene erano state tante, che dal giorno in cui gli era capitata la lettera del rettore di Montefreddo, aveva perduta del tutto la bella pace goduta tanti anni; e quando il padre Anacleto, dopo la domenica in Albis, l'ebbe abbandonato per tornarsene al suo convento, si sentì cadere le braccia. Il suo pasto si venne assottigliando; le notti si svegliava scosso da visioni che avrebbero fatto incanutire un leone; il presbiterio gli pareva un eculeo; Placidia, la mite Placidia, un ingombro fastidioso tra piedi; la calata dei Francesi un'uggiosa minaccia che gli faceva sclamare: «o dentro o fuori una buona volta!» Pur di finirla in qualche modo, accadesse quel che doveva accadere, ma alla lesta: e stava pronto, la giumenta colla bardella addosso, e la briglia lì appiccata al chiodo; sicchè il bando reale lo trovò, sto per dire, coi lembi cinti e col bastone in mano.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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