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      Adesso raccontava di costui la mala morte; e diceva ai villici, tutti orecchi ad ascoltarlo:
      «Era un vecchio, ponete come sono io, ma robusto e prepotente. Un giorno certo giovinotto tornava da chiesa, dove s'era sposato alla più bella ragazza della terra. Il marchese si fece sulla via incontro agli sposi e alla comitiva, chiedendo i suoi diritti, i suoi diritti... «Che diritti? gridò il giovane stizzito; quelli forse d'andarti all'inferno?» E lanciandosi contro il marchese coi pugni stretti, gli diede un punzone così forte nel petto, che il povero diavolo andò ruzzoloni e precipitò in un borro, tutto rovi e sassi, sfracellato morto, che non ebbe il tempo a dire amen! Beh! mi par di vederlo!»
      Qui Mattia faceva colle labbra un versaccio, come avesse posti i denti in un frutto lazzo ed amaro.
      «E voi? - gli chiedevano gli uditori.
      «Io? Io m'affacciai al precipizio, guardai, inchinai gli sposi: poi feci nell'aria un gran crocione, e addio vicini, mi tramutai. E venni nel vostro paese, dove mi acconciai col pievano defunto, e vi ho seppelliti mezzi, e ho fatto gran bene all'anima mia. Nevvero, signor pievano?
      «Sta bene, sì, sì...» - disse don Apollinare vergognoso di vedersi usare dal sagrestano tanta dimestichezza. Ma avendo mestieri di tenerselo amico, trangugiò quel boccone.
      A un tratto un gran parapiglia, un vociare rabbioso, un suono di colpi menati, in luogo più basso furiosamente, fece sorgere lui, e Mattia, e tutta quella gente che avevano intorno; ma egli con diverso animo, perchè corso alla giumenta fece atto di voler montare in sella, gridando: «I Francesi!


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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