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      La porta maggiore della cucina, del paro che quella del chiostro, mettevano sotto un portichetto, che formava un angolo retto colla facciata della chiesa, e aveva dinanzi un piazzale, dove i contadini si raccoglievano la domenica, a chiaccherare del tempo e dei ricolti, fin che entrando le messe i campanelli dalla chiesa ne li facessero avvisati. Stando sotto quel portichetto, a sedere su d'una cassapanca di legno grossolano lavorato a colpi di scure, e vecchia di chi sa quanti secoli; i conversi, i cuochi ricreavano la vista, in due lunghi e bellissimi pergolati; le travicelle dei quali erano sorrette dai muriccioli degli orti, e da due ordini di pilastrini; e in mezzo a questi correva la via, per cui dalla valle si veniva al convento. Sotto i pergolati solevano passeggiare i frati coi loro amici delle terre vicine, che venivano soventi a visitarli, per desinare assieme, per consigli, o per deporre il peso delle scrupolose coscienze: e se le pietre parlassero, quei pilastrini ci potrebbero narrare chi sa che allegre cose, dette all'ombra delle viti che vivono ancora assai rigogliose.
      Il rimanente dell'edificio, era somigliante, in ogni parte, a tutti i conventi. Aveva due corridoi lunghi, incrocicchiati, ai capi dei quali si aprivano grandi balconi: e lungo le pareti porte di celle anguste, ognuna col suo santo, monaca o frate, a fresco sopra l'architrave. Il refettorio poi, (che io non lo dimentichi), era in sito delizioso; e dava colle finestre su d'un orto ricco, d'alberi e di pozzi d'acque limpidissime.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480