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      Eppoi lassù non aveva quella noia della moglie, e quell'altra di gente cui dovesse roba o danaro; mentre a D...., eh! a D.... erano litanie che non finivano mai.
      Stava egli adunque in barba di miccio; ma la quinta notte, dacchè campeggiava lassù colle turbe, gli avvenne caso da fargli dire, che proprio gente contenta sulla terra non ve ne può durare.
      Sedeva col dorso appoggiato alla capanna che aveva formata pel pievano; e faceva la guardia, come l'altre notti, perchè questi potesse dormire tranquillo. Tenendosi desto a fatica, guardava i suoi compatriotti addormentati là intorno; e colla mente che gli pareva avere avvolta di nebbia, pensava: «Eh! Mattia, chi direbbe, che dei parenti di costoro ne hai messi nelle buche le centinaia! Centinaia? Altro che centinaia! di certo non durerai da seppellirsene altrettanti...» - E provandosi a contare, rammentandoli, i morti che aveva sepolti in sua vita; non riesciva alle due dozzine che la testa cominciava a cascargli, or su l'una, ora sull'altra spalla, or sul petto; e allora si scuoteva, tossicchiava, e badava alle stelle se indovinasse l'ora.
      Una di queste volte, alzando il capo, si vide là ritto dinanzi un uomo, che appoggiate le mani su d'un lungo e grosso bastone, sulle mani reggeva il mento, anzi si poteva dire la persona, a vedere come vi pesava sopra curvo ed intento.
      «Fatti in là che così desterai il pievano! - sclamò Mattia, rabbioso - chi t'ha creanzato?
      «Mattia, a qual giuoco abbiamo fatto sino ad ora?
      «A qual giuoco? Ognuno secondo le carte, io per esempio faccio la guardia al signor pievano.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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