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      Poi alzò gli occhi adagio adagio..., e non vide nessuno: fece atto di levarsi in piedi, nessuno lo teneva...; s'accorse che la coda gli era rimasta intricata in un roveto, la districò; e raccogliendo nel petto tutta la forza e tutta la baldanza che potè:
      «M'arrendo un fico! - proruppe - neanco se fosse qui tutta la Francia, no!»
      E via, di quella gamba che è facile a immaginarsi ripigliò la fuga. Ma una bocca di schioppo gli chiuse la via; un'altra se ne vide alle tempia; in un fiato si trovò affollato, agguantato nel petto, squassato da averne schiantati i visceri fosse stato un elefante; dieci voci gli suonarono intorno, e di quelle non capì altro che d'essere caduto in mano agli Alemanni, e che era preso per uno ispione.
      «Io spione? - gridava arrangolato - io spione? Io sono il sagrestano di D.... e ho servito a mensa le loro signorie in casa al mio padrone. Signori generali, badino per carità, io sono un amico..., sono qui per loro servizio.»
      Aveva un bel dire, ma quei feroci non capivano; e per farla finita col suo molesto vociare, uno d'essi che pareva il capo, dandogli una gran palmata sulla bocca lo fece star zitto. Egli tacque; e per non buscar la seconda, si lasciò trarre verso la banda opposta a quella, che aveva pigliato fuggendo.
      Erano davvero Alemanni, andati in pattuglia fuori del campo, che (indietreggiando sempre coll'esercito Sardo) avevano posto, sul far di quella notte, vicino al Finale. Costoro smarrita la via per le alture, non sapevano neanch'essi in che modo erano capitati lassù, a cogliere Mattia nel meglio dell'opera sua.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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