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      Così dicendo uscì, stupito di non trovare alla porta il passeraio di fanciulli che vi si raccoglievano ogni mattina, per andargli a servire la messa: ma tosto conobbe il perchè di quella assenza strana.
      Dopo i fuggiaschi paesani, arrivavano i piemontesi e gli alemanni, feriti due giorni innanzi dalle parti di Loano; e il popolo traeva fuori le mura del borgo ad incontrarli, recando pannolini, ristori, con quel pronto animo che in esso non muore mai.
      Ai lamenti che venivano dal prato, dove quei miseri venivano deposti di sui muli, e di sulle barelle, il buon prete si sentì schiantar dentro dalla passione. Ne vide di tutti i gradi e di tutti gli aspetti: visi robusti da star bene nei quadri di Salvator Rosa; faccie pallide, ed occhi come ne dipinse Schaeffer nelle sue meste tele: qua una voce di subalpino chiedeva aiuto; là un tedesco invocava il suo Got; e non era da ridere se qualche donnicciola rispondesse alla invocazione, porgendo un gotto d'acqua, che il poveretto beveva, inconsci dell'equivoco esso e l'altra.
      Don Marco fattosi in mezzo a quel dolore, cominciò a darsi attorno a spacciar uno di qua, a chiamar l'altro di là; e quale in questa, quale in quella casa, faceva ricoverare quei dolenti, che gli volgevano occhiate piene di gratitudine e d'amore; perchè giunto lui pareva, che fosse capitato ad ognuno la madre od una sorella. Si diceva che dei feriti, ve n'erano ancora molti tra via, sebbene paressero già troppi quelli arrivati: e nella furia di torsi dai piedi alcuni che morivano lì di stento; parecchi se ne portavano a seppellire, che non erano per anco spirati.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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