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      Che felicità, nevvero, se vi fossimo stati anche noi? Ebbene, si diceva in quel tempo, che nelle montagne là verso il mare, (vedete? da quella parte dove si leva il sole in questa stagione); si diceva che in una rupe cavernosa avesse vissuto una famigliuola, di cui niuno sapeva bene come vi fosse venuta. Io quella caverna l'ho veduta, ed è su per giù dell'ampiezza di mezza questa sala. Abitavano là dentro marito e moglie, colla benedizione di due bei fanciulli: il padre lavorava a far carbone; la madre a filare lana e a far camicciole; i bambini a cercare nidiate nelle selve, finchè fatti grandicelli poterono aiutare il babbo nel faticoso mestiere. E recavano sulle loro spalle sacca di carbone alla città di Savona; la quale come avete inteso a dire è in riva alla marina, lontana dalle montagne dov'è la caverna parecchie miglia. Partivano alla punta del giorno, tornavano la sera, e non si stancavano mai. Una fra le tante volte che v'andarono soli, dice, che vennero carichi di balocchi, e senza quattrini, e quei balocchi erano pugnali, spade, elmi rugginosi che valevano un fico.
      «Il babbo, sì che gli avrà sgridati!» disse Margherita, cui pareva di veder i fanciulli, l'armi, la caverna, ogni cosa.
      «Che! neanco per sogno! Anzi, fuori di sè dall'allegrezza, e stringendo la moglie al petto: «Adelasia, - sclamò - Adelasia! il sangue nostro, parla ai nostri figli dei loro avi e di noi....» Una vecchierella, la quale praticava in quella grotta, intese queste parole; le ridisse maravigliata ad un'amica, l'amica se ne confidò ad un'altra, e via.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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