Pagina (227/480)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      A guarire la signora sarebbe occorso altro aiuto. Suo figlio in casa, Bianca per nuora, e la dolce quiete; questi sì che sarebbero stati farmachi da giovarle! Ma di lui non si pregava che le notizie; di Bianca non aveva più risaputo nulla; nè s'era mai rischiata di chiederne a Don Marco per lettera o per altra via. Di quello che aveva inteso e veduto a C... le era rimasto qualcosa che la consigliava a non si fidar nel futuro; e sebbene la fanciulla avesse promesso di non essere d'altri mai; si mescolava a quella memoria l'immagine del signor Fedele, come quella d'un drago delle tante favole, che alla fine l'avrebbe costretta.
      Per togliersi un poco a quelle idee lugubri, aveva trovato un passatempo che per quell'età, non era cosa da poco. Raccoglieva ogni giorno tre o quattro fanciulle del vicinato, e loro insegnava a leggere con molto amore. In questa impresa, essa e le alunne s'erano così dilettate, che queste sino dalle prime lezioni avevano imparato il gesummaria. Io non saprei con quale giudizio i pochi che allora sapevano di lettere in quella valle, avessero dato all'abicì quel nome, che sempre è sulle labbra alla gente che sclama per dolore, per uggia o per paura: ma so che lo si chiamava ancora a quel modo, sarà poco più di vent'anni.
      La novità spiaceva a Marta, la quale ne mormorava tra sè ogni giorno; molestata dal monotono sillabicare di quelle donne: spiaceva a Rocco, perchè tra queste ci aveva la sua Tecla: e sopra tutti spiaceva al pievano, il quale non s'era potuto tenere dal dire di sul pulpito, che qualcuno della sua pieve, lavorava a far roba pel diavolo.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Bianca Bianca Don Marco Fedele Marta Rocco Tecla