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      Ma la memoria di don Apollinare, subito gli guastava nella testa la dolce visione. «Illusioni, illusioni! - diceva - tali quali si fanno, i preti sono tutti d'una maniera; noi ce li figuriamo sacerdoti, e in cambio non sono che uomini, i quali più o meno fanno un mestiere.» Spingeva allora quello sguardo dalle valli basse alle altissime vette; e si pregava d'essere un pastore, d'avere lassù sua madre e Bianca, per vivervi con esse d'amore, di meditazione e di libertà. Poi si volgeva dalla parte di mezzodì, cercando nell'orizzonte gli Apennini nativi, sebbene sapesse di non li poter scoprire; e colla guancia raccolta in una mano rimaneva in quell'atto sin che facesse notte, e la città e i colli che soggiogano il Po, cominciassero a brillare d'innumerevoli lumi. Fantasticava su questi, quali rischiarassero le quiete cene delle famiglie; quali il piacere, lo studio, il dolore, e quali la morte. Allora lo coglieva un'onda di pensieri lugubri; e se qualche rintocco di campana gli veniva di lungi nell'orecchio, provava di quello un'amarezza soave, e pensava alla religione della sua giovinezza come ad un bel sogno, che non gli era dato rifare. Altrettanto gli accadeva, passando la sera dinnanzi a questa o a quella chiesa. I suoni dell'organo gli avevano molte volte rotto il passo, e si era fermato. L'ombra che piena di misteriosi inviti, avvolgeva i divoti; la luce tremolante che diffusa dall'altare si frangeva nel fumo degli incensi; la voglia dei ricordi infantili serbati nel cuore; tutto gli faceva forza.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Apollinare Bianca Apennini