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      Giunse a B.... a mezza via tra Torino ed Alba, che rompeva l'aurora; e ai coloni che già a quell'ora si avviavano ai campi, chiese del gastaldo della marchesa per mutare il cavallo. Quello che aveva sotto non poteva più reggere. Gli fu additato una sorta di maniero, lontano pochi passi dalla via maestra, dove un uomo stava sulla soglia, quasi avesse saputo di dovervi aspettare qualcuno. Costui era appunto il gastaldo, il quale ravvisando il cavallo, si fece incontro al cavaliero; e mentre guardava con occhio pietoso la povera bestia com'era conciata; udiva da Giuliano che gli aveva a dare un'altra cavalcatura. Smontare, togliere l'arnese di dosso al cavallo stanco, e sellarne un altro, zaino, accapucciato, di collo scarico e all'aspetto buon corridore; fu lavoro di poco tempo. I due animali barattarono tra loro un nitrito, come se il nuovo chiedesse allo stanco, se il cavaliero fosse forte in arcioni; Giuliano già in sella spronò, e forse senza salutare il gastaldo, ripigliò la via.
      E tornò a traversare borghi e castelli, non provando molestia di fame o di stanchezza. Più camminava più gli pareva di diventar forte e fresco; al sole non badava nè al polverio, nè ad altro: arrivare a D.... ecco lo sprone che gli si era fitto nell'anima, più acuto, più tormentoso di quello, con cui egli insanguinava i fianchi al cavallo; il quale se gli fosse bastata la lena, quel giorno di certo non avrebbe odorato biada nè fieno, prima d'essere a D.... Ma alla fine se non la compassione del cavaliero, potè la stanchezza; e il povero animale rallentò da sè la gran corsa.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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