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      Nelle sue pupille pareva vi fossero due birri appiattati; a mirarne il naso vergolato di mille venuzze accovate sulla punta, si sarebbe detto che da uomo di coscienza, ei non lasciasse uscire dalle sue botti un bicchiero di vino, senza averlo assaggiato. Del rimanente era uomo avvisato molto, ma da mettersi a brani per fare servigio.
      «Oste, - gli disse il giovane - la marchesa di G.... ha poderi qua in Alba?
      «Poderoni! - sclamò l'oste, maravigliando come altri avesse mestieri di chiedere cosa, che doveva essere nota a mezzo il mondo.
      «Ebbene - soggiunse Giuliano - ho un suo cavallo, che voi, se vi fa comodo, manderete al suo gastaldo, appena sia riposato nelle vostre stalle: poi se me ne troverete uno per un paio di giorni, saremo d'accordo sul prezzo con pochi discorsi.
      «L'oste dei tre Re serve chi lo comanda; e pel signorino ci ho un cavallo morello, sfacciato, con quattro gambe da cervo...
      «Appunto quello che mi occorre tra mezz'ora. Adesso vorrei mangiare....
      «Vuol salire di sopra...?
      «No..., starò qui.»
      L'oste s'inchinò, affilando l'uno contro l'altro due coltellacci da affettare le carni; e Giuliano andò a sedersi ad un deschetto, nell'angolo più solitario di quella sala.
      La quale era vasta, e vi stavano mangiando a diversi tavolini, brigate di mulattieri, dagli aspetti robusti; gente che soleva fare buon tempo, quando le accadeva di trovarsi sicura dai gabellieri, coi quali, su per gli alpestri confini tra il regno e la repubblica genovese, faceva sovente a chi più ne toccasse; barattando anche qualche schioppettata, per amor del danaro che guadagnava a manate.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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