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      Giuliano l'aveva incontrato a Torino alcune volte, a quei convegni notturni; ai quali di quando in quando, si recavano gli amici delle cittą piemontesi, a fare accordi, a pigliar novelle, a conoscere nuovi compagni. Ora cavalcando e divorando colla mente, quelle altre sei od otto ore di cammino, che gli rimanevano a fare per giungere a D...; sentendo in cuore la voce di Ranza suonare con qualcosa di paterno; credeva che per tutta la vallata fossero uomini di quella sorta e di quel pensare. Sicchč l'aria gli pareva piena di spiriti generosi; tutto gli tornava pił bello a vedersi in quei luoghi noti: e sin quel dolore domestico, verso il quale correva, gli si faceva pił mite.
      Man mano che s'avvicinava a' suoi monti; l'aspetto della campagna, era come se la mano dell'uomo avesse affrettato l'opera della natura. I fieni erano stati falciati; la mietitura fatta anco nei luoghi, ove le messi solevano venire pił tardive; dovunque era un casolare, s'udiva un rumore di correggiati, si vedeva un ventolar di biade, e nugoli di pula che andavano all'aria lontani. Appariva, per tutto, la furia di tirarsi in casa i raccolti, anco immaturi; dalla tema dei Francesi, dei quali si diceva che usassero predare, incendiare, struggere ogni cosa. Chiese novelle del paese, e di grosse come quelle che gli davano i montanari, non ne aveva inteso mai. Seppe che di quei giorni erano arrivati in Val di Bormida molti Alemanni, dicevano pił di centomila, ma che i Francesi erano molti pił. Taluno osava chiedere a lui dove andasse; e sentito che a D..., compiangeva il povero signorino, perchč i repubblicani erano di lą a poche miglia.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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