Pagina (273/480)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      «Oh! le mie care benedette, i flagelli di cui vi parlo li manda il Signore; guerra, fame e peste, gli avremo tutti, uno dopo l'altro. E ancora bisognerà ringraziare, se si morirà di due uno, come ho veduto io nella mia gioventù. Ma se avvenisse come centocinquant'anni or sono, quando da queste parti, i rimasti vivi erano come le mosche bianche? Quella fu una morìa! Io ho conosciuti due signori di C..., che venivano qualche volta a desinare qua, dal padrone buon'anima, ma quello vecchio. Essi erano i figli dei figli d'uno dei soli quattro uomini, che la peste d'allora lasciò vivi, in quel borgo di tremila anime. Eh! se gli aveste intesi! raccontavano le cose udite dai loro padri i quali le avevano avute dal nonno; e solo a rammentarle non mi sta in capo il fazzoletto, tanto mi si rizzano i capelli! E anche allora si era detto che la peste nascesse dai tanti soldati morti in guerra... Baie! Io so che a C..., l'avevano formata tre scellerate sorelle coi loro unti..., una notte di sabato, in un loro podere, dove solevano trovarsi col diavolo... (qui Marta si segnò per l'ubbia che menzionando il demonio, questi le facesse tre salti d'allegrezza dinanzi). Ammanirono l'unto infernale, e tornate la domenica all'alba nel borgo, unsero le porte delle case e le panche in chiesa, e sin da quel giorno cominciò a morir gente per certi tumoracci tanto fatti...
      «No, Marta, non fate segni colle mani! - sclamarono quelle donne, che credevano di malaugurio il mostrare col gesto la grossezza di tumori, di biscie, di piaghe e d'altre cose cattive.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





Marta Marta