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      «Le tre sorelle, - continuò Marta - allegre del fatto loro, partirono per andarsi in casa a un loro parente del Genovesato; ma il podestà di C..., fece dar loro dietro coi corni marini, e furono colte dalle parti di Savona, là dove la Vergine Maria era comparsa al Beato Antonio. Legate, battute, menate a C... furono bruciate vive al cospetto del popolo, tutte e tre insieme, come anime dannate... e io ho visto dove.»
      A questo punto, dando un'occhiata intorno; Marta si avvide di Tecla, che aveva sulle labbra un certo sorriso, come di compatimento a qualche baggianeria, uscita di bocca a lei. Si sentì punta nel vivo, da quel sorriso di incredulità, che in mezzo a tante credenzone pareva il simbolo dei tempi nuovi, e «già! - sclamò - quei dai vent'anni in giù, ridono delle streghe, del diavolo, di tutto! Chi non crede al diavolo, non crede bene neanche a Dio, dice il signor pievano; me l'ho appiccata all'orecchio, e penso anch'io come lui che se si va di questa gamba, fra un altro po' d'anni, pioverà zolfo acceso. Per me avvenga che può, e rida chi vuole, io sto col signor pievano, chi ha da salvarmi è lui...»
      Le donne non guardarono che viso facesse Tecla alle parole di Marta; ma pensarono alla profezia del zolfo, udita lanciare di sul pulpito dal pievano. E cominciarono a parlare di lui, e a dirne tante lodi; che se davvero uno si sente fischiar le orecchie quando è menzionato in qualche luogo, don Apollinare dovè sentirvisi dentro le centinaia di grilli.
      Ma la bisogna in cui egli era occupato in quel momento, non gli concedeva di badare a queste minuzie; e aveva la testa intronata da ben altri rumori; suon di stoviglie, tintinnio di bicchieri, voci alte, un'allegrezza chiassosa.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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