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      Sedeva a convito nel presbiterio, una grossa brigata d'ufficiali delle genti Alemanne, venute a spalleggiare l'altre della loro nazione, che in primavera ne avevano toccate dalle bande di Nizza, in parecchi combattimenti. Quelle genti, sebbene non fossero centomila, come Giuliano aveva inteso dire tra via, pure ingombravano la valle da D... sino alle sorgenti della Bormida; e villaggi e casali ne erano zeppi. I popoli di quelle terre ne avevano gran disagio pei molti alloggi, pei viveri di che dovevano fornirle, e più per quel che esse si pigliavano, a mò di predoni; e fra i guai che pativano dagli Alemanni amici, e la paura dei Francesi, che calassero a far battaglia con essi di qua dei monti; vivevano col cuore tra due sassi. Nè quella paura poteva chiamarsi ubbía, perchè dalle cime dell'Apennino, a San Giacomo, al Settepani, dove avevano poste le grosse guardie, i Francesi parevano spiare l'ora acconcia a ferire qualche gran colpo; e a sera si vedevano tanti dei loro fuochi, che su quei monti pareva sempre la vigilia di San Giovanni. Don Apollinare si sentiva scottare da tutti quei fuochi; e l'idea della calata dei Francesi, tornava ad essere per lui come un ariete di bronzo, che gli desse le gran capate nel petto. Sull'imbrunire, sempre chiudeva le finestre del presbiterio, che guardava a mezzogiorno, non volendo vedere quei monti d'amaro ricordo, coronati di quei fuochi maluriosi e maledetti: nè solo o accompagnato s'era mai più fatto sino al muricciolo, che chiudeva il sagrato da quella parte.


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Le rive della Bormida nel 1794
di Giuseppe Cesare Abba
1875 pagine 480

   





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